Pensione a 67 anni in Italia, ecco perché non è sempre vero

Simone Micocci

30/03/2023

Pensione a 67 anni in Italia? I numeri lo smentiscono: sono di più le persone che ci vanno prima approfittando delle opzioni di pensione anticipata.

Pensione a 67 anni in Italia, ecco perché non è sempre vero

In Italia si va in pensione a 67 anni: è vero, ma non del tutto. Anzi, stando agli ultimi dati forniti dal Coordinamento generale statistico attuariale dell’Inps, ne risulta che nella maggior parte dei casi le uscite dal lavoro avvengono prima dei 67 anni.

Oltre alla pensione di vecchiaia - per la quale appunto bisogna aver compiuto i 67 anni e maturato nel contempo almeno 20 anni di contributi - ci sono infatti diverse alternative che rendono maggiormente flessibile l’uscita dal lavoro. E stando ai dati forniti dall’Inps, sono più le persone che vanno in pensione in anticipo rispetto a quelle che attendono i 67 anni.

Quando si parla di pensioni - specialmente in questi giorni quando si è soliti fare un confronto tra noi e quanto sta succedendo in Francia - bisogna essere precisi specificando che la pensione a 67 anni è solo una delle tante opzioni oggi previste dal nostro sistema previdenziale e nemmeno la più utilizzata per il collocamento in quiescenza.

Una situazione di cui tra l’altro si dovrà tener conto nel dibattito sulla prossima riforma delle pensioni - che a onor del vero al momento sembra essere bloccato - quando si cercherà di rendere il nostro sistema pensionistico ancora più flessibile rispetto a oggi.

Pensioni anticipate, quali sono?

Come detto sopra, in Italia è la sola pensione di vecchiaia a stabilire che il collocamento in quiescenza debba avvenire all’età di 67 anni (o 71 anni nel caso dell’opzione contributiva con soli 5 anni di contributi). Ci sono poi diverse possibilità per andarci prima: partendo dalla pensione anticipata con cui sono sufficienti 42 anni e 10 mesi di contributi, uno in meno per le donne, senza che sia necessario soddisfare un requisito di tipo anagrafico. Pensione anticipata che nel caso dei precoci (a patto che rientrino nel sistema di calcolo misto) si trasforma in Quota 41, consentendo così di andare in pensione con soli 41 anni di contributi.

Per i contributivi puri c’è poi un’apposita opzione di pensione anticipata: 64 anni di età, 20 anni di contributi e una pensione pari o superiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.

Per il 2023 c’è anche Quota 103, con la quale andare in pensione a 62 anni di età e 41 anni di contributi, mentre fino allo scorso anno Opzione donna consentiva alle lavoratrici di accedere alla pensione persino all’età di 58 anni. In realtà Opzione donna è in vigore ancora oggi, ma con la legge di Bilancio 2023 ne sono stati rivisti i requisiti a tal punto da ridurne notevolmente la platea delle potenziali beneficiarie.

Senza dimenticare poi che ci sono professioni che godono di un percorso agevolato per l’accesso alla pensione: si pensi ad esempio agli usuranti che possono andarci con Quota 97,6 con poco più di 61 anni di età, o anche i gravosi con l’Ape sociale. E infine le agevolazioni per i lavoratori con invalidità, i quali difficilmente devono attendere i 67 anni per andare in pensione viste tutte le opzioni a loro riconosciute.

Più persone in pensione prima dei 67 anni

Quindi, le opportunità per andare in pensione prima dei 67 anni sono diverse e a oggi sembrano essere persino le più gettonate. Come rilevato dal Coordinamento generale statistico attuariale dell’Inps, infatti, al 1° gennaio 2023 le pensioni di anzianità e anticipate sono 5.022.600 (3,3 milioni di dipendenti pubblici, 1,7 milioni di autonomi), in netta prevalenza rispetto a quelle di vecchiaia pari a 4.380.315.

Tant’è che il conto da pagare per le sole pensioni anticipate e di anzianità è pari a 121,6 miliardi di euro, il 53% del conto totale (pari a 231 miliardi di euro).

Va detto che se si guarda all’ultimo anno - quando però non c’era Quota 103 - la differenza tra pensioni anticipate e di vecchiaia è meno netta: 222.722 le prime, per un costo di 5,26 miliardi, 222.111 quelle di vecchiaia, per una spesa che supera i 2,6 miliardi di euro.

Siamo quindi più o meno in parità (ma non lato costi) anche se nel 2023 il bilancio dovrebbe tendere nuovamente in favore delle anticipate visto che la nuova Quota 103 interessa un maggior numero di persone rispetto a Quota 102. Ma anche se ancora in parità, sarebbe sufficiente per smentire la voce per cui in Italia si va in pensione a 67 anni mentre in altri Paesi - vedi la Francia - si protesta perché l’età pensionabile viene innalzata a 64 anni. Entrambi i sistemi pensionistici sono molto articolati e non è possibile semplificare fissando un’età per il pensionamento uguale per tutti.

Semmai c’è un problema legato alle donne

Quindi, nel valutare se e come riformare il sistema pensionistico il governo dovrà tener conto che già oggi il numero di coloro che effettivamente vanno in pensione a 67 anni è inferiore rispetto a quello di chi ci va prima, e che la spesa è già sufficientemente elevata.

Non sembra quindi che il nostro sistema previdenziale abbia bisogno chissà di che aggiustamenti: semmai si potrebbe intervenire su una delle categorie che storicamente ha maggiori difficoltà ad andare in pensione in anticipo, ossia le donne.

Come visto sopra, infatti, perlopiù oggi si può andare in pensione in anticipo quando sono stati maturati molti anni di contributi. 41 anni e 10 mesi per la pensione anticipata, 41 anni per la nuova Quota 103 (mentre in passato per Quota 100 ne erano sufficienti 38 anni). Tuttavia per le donne, che specialmente negli anni passati avevano maggiori difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro, raggiungere un elevato numero di anni di contributi non è semplice. Lo dimostrano i dati: del totale di coloro che sono riusciti ad andare in pensione in anticipo, il 74,3% è uomo.

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