Stipendi e gender gap: lo studio sull’occupazione femminile e l’impatto dei figli sulla carriera che è valso a Claudia Goldin il premio Nobel per l’Economia.
Non solo gender gap, ma un monitoraggio puntale dell’impatto dei figli sulla carriera delle donne. L’impegno pluriennale nello studio delle dinamiche che intercorrono tra donne e lavoro, portato avanti dalla vincitrice del premio Nobel per l’economia Claudia Goldin, fornisce nuovi dettagli per “comprendere il ruolo delle donne nel mondo del lavoro è importante per la società”, come spiega Jakob Svensson, presidente della Commissione del Premio per le scienze economiche.
“Grazie alla ricerca innovativa di Claudia Goldin ora sappiamo molto di più sui fattori sottostanti e su quali ostacoli potrebbe essere necessario affrontare in futuro”, prosegue.
Ma cosa ha scoperto Claudia Goldin sul ruolo delle donne nel mercato del lavoro? Quali sono le sue conclusioni e cosa dicono i suoi studi, che le sono valsi l’ambitissimo premio Nobel?
Donne e lavoro: pensiero e studi di Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia
Nell’abstract del working paper uscito nel 2023 dal titolo “When kids grow up: women’s employment and earnings across the family cycle”, in italiano “Quando i figli crescono: occupazione e reddito delle donne nel ciclo familiare”, Claudia Goldin e le co-autrici Sari Pekkala Kerr e Claudia Olivetti partono da una scomoda ma ormai riconosciuta verità: le donne guadagnano meno degli uomini, e questo è particolarmente vero per le madri rispetto ai padri.
La differenza si rende ancora più evidente dopo la formazione della famiglia e la nascita di uno e più figli, quando molte madri decidono di ridurre il proprio orario di lavoro.
Ma cosa succede quando i bambini crescono? Per rispondere a questa domanda, Claudia Goldin e le sue colleghe individuano tre tipologie di earnings gap (divari di guadagno):
- la “penalità della maternità”,
- il “prezzo di essere donna”,
- il “premio della paternità”.
Sommati insieme, otteniamo il “parental gender gap” (divario di genere dei genitori), ovvero la differenza di reddito tra madri e padri.
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Lo studio analizza i dati e i gap retributivi categorizzando gli intervistati in due gruppi (laureatati o diplomati) e seguendoli dai loro vent’anni fino al raggiungimento dei 50.
Subito appare un’evidenza comprensibile: man mano che i bambini crescono e le donne lavorano più ore, la penalità della maternità si riduce notevolmente, soprattutto nel gruppo meno istruito. Ma nel mentre i padri riescono ad espandere i loro guadagni relativi, in particolare i laureati. Il divario di genere sul fronte dei guadagni di madri e padri rimane sostanziale per entrambi i livelli di istruzione.
Come nasce il gender gap secondo Claudia Goldin
Gran parte del gender gap iniziale tra uomo e donna dopo l’arrivo di un bambino è dovuta alla riduzione delle ore di lavoro retribuito delle madri. Ma poi si innesca un meccanismo a cascata, per cui meno ore di lavoro da giovani si traducono in “clienti meno redditizi, meno articoli pubblicati, una minore probabilità di promozione e minori probabilità di diventare socio o di ottenere una posizione stabile”, si legge nello studio.
Come conseguenza, le traiettorie delle carriere di madri e padri e tra donne con figli e senza figli divergono.
Se le differenze di genere nella retribuzione aumentano dopo la nascita per ragioni legate al capitale umano e per quelle derivanti da varie forme di discriminazione.
Inoltre, la necessità di dedicare più tempo alla famiglia da parte delle donne rispetto agli uomini può continuare per diverso tempo dopo che i figli sono cresciuti, anche per causa, ad esempio, al lavoro di assistenza verso i propri genitori, ormai anziani, che spesso ricade - anch’esso - sulle donne.
Ma arriva finalmente un momento in cui la necessità di lavoro di cura verso i figli diminuisce e le donne possono abbracciare nuove sfide per fare carriera, passando a lavori e aziende più impegnativi.
Un cambiamento evidente, osservato nella maggior parte dei dati, si riscontra quando le madri aumentano le ore lavorate.
E a questo punto lo studio si chiede se le madri guadagnino di più grazie all’aumento delle ore lavorate, rispetto agli uomini e rispetto alle donne che non hanno ancora avuto figli o non ne avranno mai.
Osserviamo cosa succede all’offerta di lavoro e ai compensi delle madri e dei padri quando i loro figli crescono e lasciano la casa o, per lo meno, richiedono meno supervisione, su un campione di uomini e donne nati dal 1957 al 1964. Goldin e le colleghe utilizzano l’NLSY79, un campione longitudinale giunto al suo quarantatreesimo anno - inaugurato nel 1979 con circa 13.000 intervistati maschi e femmine di età compresa tra 14 e 22 anni nati tra il 1957 e il 1964. Nel tempo, i laureati sono arrivati a rappresentare circa un quarto del campione preso in esame. Alla fine dello studio, circa il 72% delle donne laureate ha partorito almeno un figlio e l’età media del primo parto è stata di 29 anni - le donne non laureate a diventare madri sono state l’85% del campione, ad un’età media di 23 anni. Quasi il 76% degli uomini laureati (78% i non laureati) sono diventati padri durante la durata dell’indagine ad un’età media di 31 anni, 26 anni in media invece per i non laureati.
Questo grafico è frutto di una semplice regressione OLS del guadagno annuale per ciascuno dei due gruppi di istruzione, riportante ore e settimane lavorate. Maschi e femmine vengono raggruppati e il grafico fornisce i coefficienti derivanti dall’interazione dei gruppi di età e di genere, più il termine costante sulla femmina.
Il divario di genere sul fronte dei guadagni è inizialmente maggiore per chi che non ha una laurea rispetto a la ha. Ma le donne laureate perdono rapidamente terreno rispetto agli uomini laureati e, intorno ai quarant’anni, il divario salariale di genere tra i laureati è maggiore rispetto a chi non possiede una laurea.
Le due linee che indicano il divario retributivo di genere per ciascuno dei gruppi di istruzione si incrociano intorno ai 42 anni. Un altro punto importante è che il divario retributivo, anche se corretto per le ore e le settimane lavorate, è sostanziale per entrambi i gruppi di istruzione, indipendentemente dall’età.
Rispetto alle donne laureate senza figli, come si può vedere dal grafico, le madri riducono le loro ore settimanali di circa 7 ore - circa un giorno alla settimana – tra i 30 e i 35 anni. A poco più di quarant’anni, quando il figlio più giovane frequenta già la scuola elementare (il 79% delle madri inserite nel campione ha il figlio più piccolo di età superiore ai sei anni) la differenza si riduce a circa cinque ore, e si riduce ulteriormente a circa due ore quando frequentano la scuola elementare. Nella fascia di età più avanzata la differenza tra mamme e non mamme è inferiore alle due ore.
Se rapportate a quelle dei padri, ne deriva un deficit relativo maggiore. Le madri lavorano circa dieci ore in meno rispetto ai padri quando entrambi hanno il figlio più giovane ancora in età prescolare (dai 30 ai 39 anni), e circa otto ore in meno quando il più giovane frequenta la scuola media e superiore (dai 45 ai 49 anni). Quando le madri hanno superato i cinquant’anni, lavorano ancora quasi sei ore in meno rispetto ai padri.
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Le differenze tra madri e padri lavoratori
Che i guadagni delle donne subiscano un brusco calo subito dopo la nascita di un bambino, che il decremento è dovuto principalmente, ma non interamente, alla riduzione dell’orario di lavoro e i salari più bassi permangono per circa 10 anni era noto già da tempo.
Lo studio del premio Nobel Claudia Goldin ha però il merito di osservare le dinamiche della genitorialità lungo un ciclo di vita più ampio, andando ad analizzare l’impatto dei bambini sulla carriera man mano che crescono e diventano più indipendenti. Come abbiamo visto, infatti, quando i bambini iniziano la scuola elementare, le ore lavorate delle donne aumentano.
Le madri riducono il pay gap rispetto alle donne che non hanno ancora avuto o non avranno mai figli. Le donne laureate con figli arrivano a guadagnare di più rispetto a quelle senza figli nella fase di vita tra i 30 e i 5 anni (escludendo le variabili temporali).
Queste riceverebbero dei compensi più vicini a quelli dei padri se potessero lavorare le stesse ore e settimane.
Nelle conclusioni dello studio, leggiamo:
Siamo partiti dall’idea che la vita è un’avventura, una lunga camminata con salite difficili.
La genitorialità è parte della ripida salita durante la quale le madri rallentano, riducono l’orario di lavoro e occasionalmente lasciano il lavoro per un determinato periodo o si spostano verso lavori e aziende che richiedono meno tempo.Ma c’è un momento in cui le richieste di assistenza all’infanzia diminuiscono notevolmente e le donne
possono aumentare le ore di lavoro retribuito e affrontare maggiori sfide di carriera. Possiamo pensare a quel momento, metaforicamente, come quando le madri raggiungono una vetta e poi corrono giù dall’altra parte della montagna. Ma anche se aumentano le ore di lavoro, non raggiungono mai la ricca valle dell’uguaglianza di genere. In larga misura, la loro incapacità di guadagnare quanto i padri è dovuta al rapporto positivo che i figli hanno sui guadagni degli uomini e al loro rapporto negativo su quelli delle donne.
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