Stop assenze per malattia quando si supera il limite indicato da Inps e Inail

Simone Micocci

28 Settembre 2024 - 17:27

Attenzione alla durata dell’assenza per malattia o infortunio. Superato questo termine si rischia il licenziamento.

Stop assenze per malattia quando si supera il limite indicato da Inps e Inail

Troppe assenze per malattia o infortunio possono portare alla perdita del posto di lavoro.

Nonostante il diritto del dipendente a conservare il posto di lavoro durante la malattia, c’è un limite che non può essere superato. In tal caso, infatti, il datore di lavoro è legittimato a licenziare il dipendente.

Il tempo massimo da non superare per le assenze per malattia, come pure nei casi di infortunio sul lavoro o malattia professionale, viene indicato rispettivamente da Inps e Inail. È il primo, infatti, ad assicurarsi che il lavoratore percepisca uno stipendio anche nel periodo di malattia, mentre nei casi in cui l’assenza dal lavoro dipenda da un infortunio o da una malattia professionale il costo dell’indennizzo grava sull’Inail.

A tal proposito, è importante conoscere il termine oltre il quale converrebbe dire stop alle assenze, rientrando sul posto di lavoro. E nel farlo è bene anche ricordare che anche il pagamento della relativa indennità sostitutiva riconosciuta nei periodi di malattia o infortunio non è per sempre, con Inps e Inail che non vanno oltre un certo limite di giorni.

Quando arriva quindi il momento di dire addio alle assenze per malattia, o da infortunio? Ecco quanto specificato da Inps e Inail nelle relative normative.

Addio alle assenze per malattia, ecco quando

Come anticipato, durante i periodi di assenza per malattia il dipendente ha diritto a una retribuzione sostitutiva di cui si fa carico l’Inps, pari a:

  • 50% della retribuzione media giornaliera, dal quarto al ventesimo giorno;
  • 66,66% dal ventunesimo al centottantesimo giorno.

Spetta ai Contratti collettivi definire qual è la misura dell’indennità nei primi 3 giorni di malattia, della quale devono farsi carico i datori di lavoro. Così come sono sempre questi a definire se nei giorni successivi le aziende devono integrare l’indennità di malattia erogata dall’Inps così da compensare tutta o una parte della perdita dello stipendio.

Per quanto riguarda la durata dell’indennità di malattia quanto detto sopra ci dà già una prima risposta: oltre il 180° giorno non spetta alcuna indennità dall’Inps. A tal proposito, questo limite va considerato nell’arco di un anno: dunque, circa 6 mesi di malattia l’anno sono indennizzabili, dopodiché non spetta alcunché.

E per quanto riguarda la conservazione del posto di lavoro? A definire la durata del cosiddetto periodo di comporto, ossia il tempo limite entro cui non è ammesso il licenziamento per malattia sono sempre i Contratti collettivi.

Va detto però che nella generalità dei casi la durata di questo periodo è la stessa di quella in cui l’Inps si fa carico della relativa indennità, quindi 180 giorni per anno solare. Limite che va considerato sia per le assenze continuative che frazionate durante il corso dell’anno.

Addio alle assenze per infortunio sul lavoro

Nel caso delle assenze per infortunio sul lavoro, invece, è l’Inail a intervenire a sostegno del lavoratore. Nel dettaglio, questo si fa carico di un’indennità pari al:

  • 60% della retribuzione dal quarto al novantesimo giorno di infortunio;
  • 75% della retribuzione dal novantunesimo fino a completa guarigione del lavoratore.

A differenza dell’indennità di malattia, quindi, non esiste un limite oltre cui l’Inail smette di pagare il lavoratore, in quanto l’infortunio sul lavoro viene indennizzato fino a completa guarigione.

Per quanto riguarda il diritto alla conservazione del posto di lavoro, però, il trattamento è simile a quello previsto per la malattia, come confermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11136 del 27 aprile 2023.

Con questa pronuncia, infatti, la Suprema Corte ha ribadito che le assenze del dipendente causate da malattia professionale o infortunio sul lavoro sono comunque riconducibili nella più ampia definizione di infortunio o malattia come data dall’articolo 2110 del Codice Civile. Per tale motivo anche questi sono considerati ai fini della quantificazione del periodo di comporto.

Non solo quindi anche l’infortunio che dura più di 180 giorni può portare al licenziamento: anche laddove questo limite dovesse essere superato sommando le assenze per malattia e infortunio il datore di lavoro sarebbe legittimato a interrompere unilateralmente il rapporto.

L’unico caso in cui l’infortunio (o la malattia professionale) non è considerato nel periodo di comporto è quello in cui il datore di lavoro sia stato responsabile dell’evento, situazione che non è comunque ravvisabile nel caso in cui possa dimostrare l’avvenuta adozione delle norme per la garanzia della sicurezza sui luoghi di lavoro.

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