Il ricorso a Hegel, Heidegger, Guénon e Evola siano controproducenti per una reductio ad unitatem della filosofia dughiniana.
Dugin versus Dugin di Giacomo Maria Prati è uno di quei libri che segnano un prima e un dopo. È un libro sconvolgente, di rottura, poiché genera una crisi, una spaccatura nel tessuto apparentemente inconsutile del pensiero dughiniano, portando alla luce le incongruenze del filosofo russo. Qualcuno del milieu dughiniano sembra esser già corso ai ripari, cercando di collocare il giudizio tranchant del Nostro in categorie politiche di destra o sinistra - come già avvenne, per esempio, per Hegel - parlando di destra e sinistra dughiniana. Non se costoro abbiano mai letto davvero il libro di Prati o se abbiano compreso l’essenza dirompente di questo libro. Quella di Prati è un’analisi “interna”, cioè, egli critica Dugin usando Dugin e i suoi filosofi di riferimento, tutti accomunati dalla medesima filosofia moderna dell’Io e che Prati ritiene addirittura superiori allo stesso Dugin, in modo particolare Evola.
Prati parla chiaramente di un «Dugin gnostico» e di un «Dugin rivoluzionario» in senso socialista-comunista-sovietico. Il riferimento alla gnosi di Dugin compare già nel sottotitolo: Gnosi Impero Rivoluzione. La via russa all’apocalisse gnostica. La sua analisi spietata, «senza sconti», lo porta a vedere ciò che prima della sua opera non era ancora molto chiaro né conosciuto del pensiero dughiniano: la sua profonda anima gnostica e neopagana con tratti dionisiaci e sciamanici. Anima gnostico-rivoluzionaria che il Nostro esplicita e liquida come «superata, contraddittoria, non sostenibile e deficitaria». Dall’analisi di Prati emerge un giudizio sconcertante sul Dugin filosofo: un autore importante a livello storico-mondiale che opera, però, in un contesto filosofico di secondo o terz’ordine.
Considero infatti filosoficamente ogni tipo di gnosi, antica o moderna, inferiore dottrinariamente e speculativamente alle forme canoniche-tradizionali della teologia cristiano-cattolica e ortodossa, a cui aderisco. Ritengo quindi in conclusione questo autore importante a livello storico-mondiale quale intellettuale-narratore-soggetto culturale ma a livello filosofico lo colloco in una posizione inferiore e posteriore rispetto al miglior Evola stoico-romano-neoaristotelico di Teoria dell’Individuo Assoluto, seppure ne condivide alcuni riduzionismi e limitazioni posthegeliane “di centro”. Mentre il neopaganesimo di Evola appare infatti sempre solare, gerarchico, costruttivo, greco-romano e lucido, il neopaganesimo di Dugin, pur ricco del pathos e del fascino sciamanico russo-slavo-asiatico, mi si rivela spesso quale orientamento purtroppo ricco anche di fattori e dimensioni tenebrose, distruttive, anomiche, dispersive, cibeliche e anti-gerarchiche. [...]
Accedi ai contenuti riservati
Navighi con pubblicità ridotta
Ottieni sconti su prodotti e servizi
Disdici quando vuoi
Sei già iscritto? Clicca qui
© RIPRODUZIONE RISERVATA