Secondo la Procura di Milano la Apple avrebbe evaso 879 milioni di euro. Un accordo con il governo irlandese permetterebbe all’azienda di godere di benefici fiscali
Si è chiusa qualche giorno fa l’indagine condotta dalla procura di Milano riguardante la presunta evasione fiscale della Apple.
L’inchiesta, iniziata nel novembre 2013 con la perquisizione della sede milanese del colosso tecnologico statunitense, è stata coordinata dal Procuratore aggiunto Francesco Greco e dai pm Adriano Scudieri e Carlo Nocerino e condotta dagli uomini della direzione regionale lombarda dell’Agenzia delle Dogane e dell’Agenzia delle Entrate.
Le indagini riguardano in particolare tre manager della multinazionale, l’Amministratore Delegato di Apple Italia Enzo Biagini, il Direttore finanziario Mauro Cardaio e il manager della sede irlandese Michael Thomas O’Sullivan, che sono stati accusati di omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 del Decreto legislativo 74/2000).
L’ipotesi degli inquirenti è che per cinque anni, tra il 2008 e il 2013, Apple avrebbe pagato sugli utili dei prodotti venduti e distribuiti in Italia aliquote comprese tra lo 0,05% e lo 0,06%, con un omesso versamento dell’imposta Ires per un totale di 879 milioni di euro.
Secondo l’accusa quindi l’azienda di Cupertino avrebbe evaso il fisco italiano contabilizzando i profitti realizzati in Italia presso la società Apple Sales International con sede in Irlanda, Paese a fiscalità avvantaggiata.
Al contrario Apple ha respinto le critiche precisando che la società “paga ogni dollaro ed euro delle tasse dovute ed è continuamente oggetto di controlli fiscali da parte di governi di tutto il mondo” ed affermando che le autorità fiscali italiane hanno già sottoposto Apple Italia ad audit nel 2007, 2008 e 2009 confermando la piena conformità ai requisiti di trasparenza Ocse.
Tuttavia l’accusa di evasione fiscale del Gruppo Apple era già stata presentata nel maggio 2013 dal Senato Usa attraverso il rapporto di indagine intitolato "Offshore Profit shifting and the Us tax code" del Permanent subcommitte on investigation (Psi).
Secondo tale documento la struttura organizzativa del Gruppo Apple permetterebbe alla multinazionale di evitare il pagamento delle imposte non solo negli Stati Uniti ma anche negli altri mercati in cui è presente rendendola così un’azienda mondiale senza sede.
Emblematico è il fatto che le società Apple Operation International e Apple Sales International, che si occupano rispettivamente delle vendite in America e nel resto del mondo, non hanno presentato alcuna dichiarazione dei redditi né pagato imposte ad alcun governo nazionale nonostante un fatturato di 74 miliardi di dollari e redditi pari a 30 miliardi. Entrambe le società, attraverso la residenza giuridica in Irlanda, avrebbero permesso alla multinazionale di godere di benefici fiscali.
Grazie a un accordo con il governo irlandese la Apple infatti avrebbe beneficiato di una speciale aliquota di imposta pari a meno del 2%.
L’aliquota risulterebbe così bassa perché la Apple, come ha verificato la Commissione europea mediante la procedura di infrazione avviata lo scorso giugno contro l’Irlanda per presunti aiuti di Stato, si sarebbe limitata a pagare in Irlanda le tasse relative ai ricavi prodotti in quel Paese, di conseguenza i redditi delle società irlandesi, in pratica gli interi profitti mondiali del gruppo, non sarebbero stati sottoposti ad alcuna tassazione nazionale.
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