Non si allenta la stretta della Cina sul Bitcoin. Che, però, non sembra pagare dazio sul mercato.
La Pboc, banca centrale cinese, continua a stringere le maglie attorno al Bitcoin. E lo fa dando attuazione alla normativa anti-crypto approvata lo scorso maggio da Pechino, quella che – per intenderci – ha messo di fatto al bando le mining farm e stoppato le principali banche e i sistemi di pagamento elettronici dal prestare servizi in criptovaluta.
Ieri, come annunciato dall’ufficio pechinese della Pboc, la banca centrale ha infatti imposto la chiusura di una società “sospettata di fornire servizi propedeutici alle transazioni in criptovaluta”, in aperto contrasto con la normativa vigente. Notizia che conferma la risolutezza del Dragone nella lotta senza quartiere alle divise digitali, ma che a ben vedere non ha sgonfiato la quotazione del Bitcoin, né delle principali monete alternative, da Ethereum a Binance Coin.
Bitcoin verso i $35.000 nonostante la Cina
I 34.747 dollari di quotazione di oggi, infatti, certificano per il Bitcoin una variazione percentuale positiva del 2,9% rispetto a ieri, in linea con il trend rialzista della seconda parte della scorsa settimana. Bene anche le Altcoin Ethereum, +8,3%, e Binance Coin, +7,3%. I potenziali riflessi delle regolamentazioni sui prezzi dei crypto-asset, però, rimangono un rischio sul lungo termine.
La Cina farà del resto “tutto quello che è in suo potere per assicurarsi che il Bitcoin e le altre criptovalute scompaiano dal sistema finanziario ed economico cinese”, l’allarme suonato dal CEO di Marathon Digital Holdings Fred Thiel, e cercherà dunque di portare a termine quel percorso di misure draconiane inaugurato nel lontano 2013, pleistocene delle criptomonete.
Ma gli interrogativi non sono legati unicamente alla Cina, che ormai gioca a carte scoperte, ma anche e soprattutto al mercato più florido per Bitcoin&Co., gli Stati Uniti. Tanto la Fed quanto il Tesoro hanno infatti più volte sottolineato la necessità di mettere a punto un circuito di regole per prevenire le naturali degenerazioni del mercato e tutelare gli interessi degli investitori, e secondo gli analisti i primi passi potrebbero essere mossi già nel secondo semestre dell’anno.
Oltre alle regolamentazioni, inoltre, c’è il capitolo relativo ai maxi-consumi delle mining farm, che hanno già indotto Elon Musk al ripensamento sui pagamenti in Bitcoin per le auto Tesla. Il rischio è che in assenza di studi che possano provare l’impronta ambientale limitata del mining – sull’argomento c’è ancora un certo grado di polarizzazione – le big cap e gli istituti finanziari finiscano per frenare il tasso di adozione delle crypto, comunque ancora a livelli record se confrontato con quello delle principali tecnologie del passato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA