Con la sentenza numero 21972/2015 la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema delle prestazioni gratuite rese da professionisti a parenti e amici. Ecco le linee guida tracciate dalla Consulta.
Le prestazioni a titolo gratuito rese da commercialisti a favore di parenti, amici, soci di società già clienti a pagamento dello studio e di ogni altro soggetto in grado di aumentare la clientela dello studio non sono contestabili dall’Agenzia delle Entrate.
E’ il principio che si ricava dalla sentenza numero 21972/2015 della Corte di Cassazione, relativamente ai casi di assistenza fiscale gratuita resa da professionisti abilitati a terzi.
Ecco i punti principali della sentenza della Consulta in materia di prestazioni gratuite rese da commercialisti in favore di amici e parenti.
Prestazioni gratuite commercialisti: il caso
La sentenza numero 21972/2015 della Consulta si riferisce ad un ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della Ctr Campania numero 92/29/2008 in cui veniva ritenuta ammissibile la prestazione gratuita resa dal professionista nei confronti di circa 70 soggetti.
Le motivazioni addotte dalla commissione erano fondamentalmente quattro:
- i rapporti di parentela e amicizia con coloro che avevano fruito della prestazione;
- buona parte dei 70 “beneficiari” sono soci di società già clienti (regolarmente paganti) dello studio;
- la prestazione gratuita si è concretizzata quasi esclusivamente nell’invio telematico della dichiarazione dei redditi;
- la prestazione gratuita era diretta anche ad “incrementare la clientela”.
La Corte di Cassazione, con la citata sentenza numero 21972/2015, sostanzialmente conferma la tesi della Ctr Campania affermando in particolare:
“la gratuità dell’opera svolta dal professionista, in considerazione dei rapporti di clientela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello corrisposto dalla società di appartenenza e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l’attività svolta in loro favore riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata all’incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l’assunto del contribuente circa la sua gratuità”.
Prestazioni gratuite commercialisti: i riferimenti normativi
Tra i riferimenti normativi fondamentali occorre considerare l’articolo 54 del TUIR, nella parte in cui afferma che:
“Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni e’ costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione”.
Dal punto di vista fiscale, quindi, è chiara l’irrilevanza, ai fini della determinazione del reddito, delle prestazioni professionali per le quali non è stato pattuito un compenso.
La stessa Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 49/E/2013 ha affermato l’inesistenza di un collegamento diretto tra svolgimento di attività gratuite e spese sostenute per la loro esecuzione. Queste ultime, quindi, dovrebbero essere comunque considerate deducibili poiché classificabili in ogni caso come “generali” (perciò non strettamente inerenti con una singola prestazione).
Prestazioni professionali gratuite: quando non sono ammesse?
Le prestazioni gratuite rese da professionisti non sono ammesse quando sono palesemente antieconomiche e rese al di fuori del perimetro delimitato dalla giurisprudenza di riferimento (parenti e amici come destinatari, prestazioni semplici e comunque dirette all’incremento della clientela).
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