Il dollaro è il nuovo indicatore della paura sui mercati, sostituisce il VIX. Ecco il perché secondo il report della Bank for International Settlements.
Il nuovo indice della paura - noto anche come “fear gauge” - è il dollaro USA, la valuta più scambiata al mondo.
È questa l’opinione della Banca dei regolamenti internazionali (Bank for International Settlements - BIS), per bocca del suo responsabile della ricerca Hyun Song Shin.
Il rafforzamento del dollaro limita la domanda di nuovo credito e riflette una riduzione della propensione al rischio per gli asset più rischiosi, come scritto da Shin all’interno dell’ultimo report della BIS pubblicato martedì.
La ricerca dimostra come la salita del dollaro statunitense dopo la vittoria del repubblicano Donald Trump alle Elezioni USA 2016 non debba essere interpretata come un segnale di fiducia dei mercati nei confronti del magnate.
Invece, il dollaro è diventato il nuovo indice della parola, sostituendo il ben noto indice di volatilità VIX.
«Il ruolo di barometro della propensione al rischio e della leva è passato dal VIX al dollaro»,
ha commentato l’economista.
«Dato il ruolo del dollaro come barometro della propensione mondiale al rischio, non possono esserci vincitori con un dollaro più forte».
Dollaro è il nuovo indice della paura, addio al VIX. Ecco perché
Anni di stimolo monetario da parte delle banche centrali mondiali hanno la volatilità sull’azionario bassa, con una contemporanea compressione degli spread creditizi. Questa dinamica ha messo a nudo il potere predittivo del VIX. Allo stesso tempo, ha spinto altri debitori e investitori internazionali verso il dollaro.
Dato l’aumento mondiale delle passività denominate in dollari, una moneta più forte può portare ad una propensione al rischio sugli investimenti più basse e ad una riduzione della domanda di prestito in dollari per acquisire asset relativamente volatili, secondo il report pubblicato dall’istituto svizzero con sede a Basilea, che rappresenta le banche centrali.
Il VIX misura la volatilità implicita calcolata su quanto pagano gli investitori per le opzioni sull’indice S&P 500. Prima della crisi finanziaria nel 2008, vi era una stretta relazione tra la leva e l’indice. Quando il VIX era basso, la propensione all’indebitamento aumentava e viceversa.
La crisi, tuttavia, ha costretto i politici a tagliare il costo del denaro ai minimi storici, limitando le oscillazioni dei prezzi. L’indicatore, con una media annuale a 16 al momento, è ben lontano dai livelli record a 80,9 di quasi otto anni fa.
Il dollaro è il nuovo VIX: l’impatto dei tassi ai minimi record
Come il diminuire dei tassi di interesse, in alcuni casi in territorio negativo, gli investitori cercato asset ad alto rendimento. Dato il ruolo mondiale del dollaro come valuta di prestito, la maggior parte di questi asset sono denominati in valuta statunitense. I rendimenti a lungo termine per i titoli in dollari, per esempio, sono alti elevati rispetto ai rendimenti dei titoli con scadenza simile in Giappone, Eurozona e Svizzera.
Gli investitori istituzionali con portafogli che spaziano a livello mondiale devono ridurre il rischio di disallineamento di valuta fra gli asset che detengono e le passività nazionali. Questa necessità coinvolge l’hedging, attivato principalmente attraverso le banche. Le stesse banche scaricano il proprio rischio prendendo in prestito dollari. Questa domanda ha comportato una «carenza» di dollari, che ha reso il settore finanziario più vulnerabile alla forza della moneta degli Stati Uniti.
«Il canale di assunzione dei rischi sui tassi di cambio si trasforma nell’impatto dell’apprezzamento del dollaro in un mondo in cui molti bilanci hanno le passività in dollari»,
scrive la Bank for International Settlements.
«Quando tanti debitori hanno preso in prestito così tanti dollari, sia per fini speculativi o di copertura, l’apprezzamento del dollaro espone i debitori e le banche alle variazioni del valore della moneta e, a sua volta, impatta sui loro bilanci».
Fonte: Bloomberg
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