Addio ottimismo agostano, il capo del governo ora invita a «non compiacersi» per la crescita. Perché se Berlino fa paura, il dimezzamento nottetempo del Pil americano nel 3 trimestre gela il sangue
L’economia continua a crescere, più delle previsioni e a un tasso che non si vedeva da decenni. Ma non bisogna compiacersi delle cifre di crescita, perché il nostro prodotto è anche caduto come non si vedeva da decenni. É un rimbalzo. Chi è caduto di più, rimbalza di più. Il senso della conferenza stampa di Mario Draghi, a livello di comunicazione sullo stato dell’economia, sta tutto qui. Ovviamente, la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione si è premurata di riportare solo la prima parte del ragionamento, lasciando cadere nel vuoto o annegando nelle righe di testo degli articoli interni il monito alla cautela del presidente del Consiglio.
Pesantissimo. Per tre ragioni. Primo, di fatto Mario Draghi si è rimangiato in toto l’ottimismo contagioso che aveva mostrato soltanto tre settimane fa, nel corso della conferenza stampa pre-vacanziera. Lo stesso che venne rintuzzato immediatamente da una nota di Confindustria che invitava appunto alla prudenza in vista di un autunno che stava già mettendo in fila una serie di criticità tutt’altro che passeggere. Ovvero: inflazione, interruzioni e colli di bottiglia sulla supply chain, gestione degli strascichi della pandemia e possibile inizio di un dibattito interno alla Bce sulla riduzione del ritmo degli acquisti. Meno di un mese e tutto questo è divenuto realtà.
Secondo, ad aggravare questo quadro già tutt’altro che roseo ci ha pensato nell’ultima settimana la Germania, prima con un tonfo dell’indice Ifo sulle aspettative del terzo trimestre che parlava la lingua di un rallentamento già in atto (e in procinto di tramutarsi in stallo), poi con il terremoto dei sondaggi in vista delle elezioni del 26 settembre. Talmente imprevisto da aver costretto la Bundesbank a muovere le legioni straniere in vista del meeting Bce della prossima settimana, al netto di un’inflazione esplosa al 3,9% in agosto e di un sentimento diffuso fra l’opinione pubblica che proprio ieri ha portato la diffusissima newsletter Steingart Morning Briefing ha creare e «regalare» agli abbonati questa nuova banconota con chiara connotazione da iper-inflazione weimariana dell’ammontare.
Piccoli segnali. Ma decisamente più rivelatori di mille indici Ifo, soprattutto quando mancano venti giorni al voto legislativo più delicato e imprevedibile dalla Riunificazione. E i sondaggi , non a caso, continuano a muoversi come sismografi. Terzo e forse ancora più serio, il tracollo generalizzato delle stime di crescita dell’economia statunitense per il terzo trimestre sostanziatosi nei momenti stessi in cui Mario Draghi prendeva la parola in conferenza stampa. A rompere gli indugi, Morgan Stanley con un sobrio colpo di machete dal 6,5% al 2,9%. A ruota, Goldman Sachs, meno drastica ma comunque decisamente pessimista, visto che le previsioni del Pil da qui a fine mese sono scese dal 5,25% pre-vacanziero all’attuale 3,5%.
Identiche anche le motivazioni che hanno spinto le due banche d’affari alle loro revisioni, riassumibili nel tracollo delle vendite automobilistiche nel mese di agosto, un devastante -11,5% su base MENSILE che ha portato il numero delle unità a soli 13,06 milioni, lettura più debole dal pieno periodo pandemico del giugno 2020. Nemmeno a dirlo, alla base del risultato la crisi nella fornitura e approvvigionamento di componentistica, microchip in testa. Oltre ovviamente alla fine del periodo di sussidio a reddito e disoccupazione, ormai alle porte (6 settembre). E questo grafico
mostra come le prospettive per una ripresa rapida, al netto delle produzioni tagliate o sospese, siano tutt’altro che probabili: il dato delle scorte domestiche Usa è letteralmente sprofondato al minimo da quando vengono tracciate le serie storiche. Ovvero, nientemeno che dal 1967.
Ma a piantare il proverbiale chiodo nella bara ci ha pensato il tracciatore del Pil in tempo reale della Fed di Atlanta, meglio noto come GDPNow e solitamente molto più affidabile di tutti gli altri. Questo grafico parla chiaro,
dal 5,3% del 1 settembre, il centro studi del ramo della Georgia della Banca centrale Usa si è visto costretto a operare una revisione al ribasso già il giorno dopo, ovvero ieri. Quando la stima attesa per il terzo trimestre è stata portata al 3,7%. Apparentemente senza che nottetempo si sia sostanziato un altro caso Lehman che giustificasse una simile mossa, quasi un terremoto. Qualcosa si è rotto.
Almeno da una decina di giorni ma ora è giunto il momento di mettere le mani avanti, onde evitare figuracce in stile agenzie di rating la mattina del 15 settembre 2008 o quando i bond Enron risultarono di colpo utili solo per accendere le sigarette. Bene, Mario Draghi - da uomo che conosce il mercato in profondità e sa quali proxies seguire e ascoltare - si è adeguato al trend negativo e quella frase iniziale, pressoché ignorata da tutti nella sua interezza, lo certifica. Come a dire, fra un mesetto non venite a chiedermi conto dell’eccessivo ottimismo ostentato: la registrazione della conferenza stampa del 2 settembre fa testo e opera da alibi perfetto.
La grande - e pericolosamente amara - rivincita di Confindustria. Parafrasando Woody Allen, la Germania rallenta, gli Usa inchiodano e anche l’Italia non si sente molto bene. Ma da ridere, in effetti, c’è davvero poco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Argomenti