Le tensioni in seno all’Opec finiranno inevitabilmente per impattare sulle tasche dei consumatori italiani. I dati Unem.
L’Opec è ancora in stallo. Da una parte l’Arabia Saudita e la Russia, che puntano a mantenere inalterati i livelli attuali di produzione fino (almeno) a dicembre 2022, così da far lievitare il prezzo del greggio e incrementare i profitti. Dall’altra gli Emirati Arabi, che rilevano “il bisogno tangibile di un aumento della produzione”, entro due mesi e senza condizioni. Nel mezzo i consumatori, destinati - alla pompa - a pagare il conto del braccio di ferro in seno all’Opec. Una questione che riguarda anche l’Italia, come si evince dai dati diffusi dall’associazione di Confindustria Unem durante l’assemblea annuale.
Ecco quanto costerà agli italiani l’aumento del prezzo del petrolio
L’Unem, infatti, stima che per l’Italia l’aumento della bolletta petrolifera sarà di 4,9 miliardi di euro nel 2021, passando dagli 11,8 miliardi dello scorso anno a 16,7 miliardi. Un rincaro da attribuire largamente all’impennata dei prezzi del greggio, circa 3,7 miliardi, mentre i restanti 1,2 miliardi saranno una conseguenza della ripresa dei consumi top. Senza dimenticare, come rilevato dal presidente di Unem Claudio Spinaci, che gli italiani già pagano "un sovrapprezzo di 7-10 centesimi al litro rispetto agli europei, interamente dovuto alla componente fiscale”.
Domanda di energia in ripresa in Italia
L’assemblea è stata per Unem l’occasione di fare il punto anche sul mercato energetico italiano. La domanda, nel 2020, è scesa del 9,3%, con un decisivo contributo della flessione sul fronte petrolio, -16%. Nella prima parte del nuovo anno, tuttavia, si è registrato un forte rimbalzo, con il gas che ha già recuperato oltre la metà del calo e le rinnovabili in crescita del 2%. Greggio ancora in contrazione – si stima una domanda del 3% inferiore rispetto al 2019 - ma con le riaperture e l’avvento della driving season si inizia a consolidare un trend di recupero.
“La domanda di energia ha ripreso a crescere in modo significativo”, la lettura dei dati di Spinaci, ed è “in larga parte coperta da fonti fossili che sono ancora dominanti, e lo saranno ancora per diversi decenni in assenza di soluzioni realmente alternative nel soddisfare i fabbisogni essenziali soprattutto nelle zone più povere del pianeta”, ha concluso.
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