Mentre i futures sul Dutch segnano -10% ed esotiche teorie su Bitcoin mirano a sminuire il successo del blitz russo, il porto strategico cinese sconta nuove restrizioni. E i chip restano un miraggio
Avvertenza: il concetto sostenuto nelle righe che seguono può urtare la sensibilità dei più sensibili. Il gas europeo, infatti, ringrazia il presidente kazako Tokayev per la soluzione a cavallo fra Piazza Tienanmen e l’invasione russa dell’Ungheria.
Nel giorno della repressione a colpi di spari senza preavviso e messa in sicurezza dei punti nevralgici della capitale da parte dei paracadutisti russi giunti a tempo di record, i futures del Dutch per febbraio hanno segnato un netto -10,28% intraday, chiudendo la giornata a 86.58 euro per magawatt/ora dai 95,80 dell’apertura. Stessa dinamica per i contratti di marzo, scesi del 9,87% a quota 85,76 euro. Cinico come concetto. O, forse, meramente pragmatico. Perché per quanto la grancassa dei diritti civili stia già scandendo lo spartito di dichiarazioni di Usa e Ue e dettando i tempi della narrativa mediatica, quanto accaduto porta alla luce tre elementi nuovi. E decisamente dirimenti.
Primo, sia il Kazakhistan che la Russia che la Cina hanno immediatamente puntato il dito verso forze straniere che avrebbero sobillato una rivoluzione colorata nell’Asia centrale. Non a caso, Mosca ha inviato le truppe a tempo zero e Pechino si è congratulata pubblicamente e ufficialmente con il presidente kazako per la fermezza dimostrata. E l’arresto dell’ex numero uno della sicurezza sembra andare in questa direzione, il tentato golpe interno. Washington è rimasta a dir poco spiazzata. Secondo, la prima prova sul campo dell’operatività del Csto, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva nata nel 1992 da sei nazioni della Csi post-sovietica si è rivelata a dir poco un successo. Un chiaro segnale alla Nato rispetto agli scenari che potrebbero prefigurarsi in Ucraina.
Non a caso, il segretario dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha sfruttato l’occasione offertagli dalla riunione straordinaria dei ministri degli Esteri per sottolineare come il rischio di una guerra con la Russia è reale. E il caso ha voluto che questo mix esplosivo sia stato contemporaneamente accompagnato dall’invio da parte degli Usa di caccia F16 in Polonia per un’esercitazione congiunta di dispiegamento e reazione rapida. Il Dottor Stranamore pare tornato in servizio permanente ed effettivo. Terzo, la rivolta kazaka è stata sobillata non tanto per il rincaro del prezzo del gas e della benzina, ovvero per le condizioni di vita e il potere di acquisto che operarono da detonatore delle rivolte colorate in Nord Africa, bensì come atto di ribellione al transito di gas verso la Cina. Come dire, affamate con i rincari le famiglie kazake per garantire energia all’economia cinese.
Smaccatamente ideologico nel suo focalizzare l’obiettivo come presupposto di partenza per una rivoluzione che si voleva dal basso. La quale, in effetti, è stata stroncata in meno di 24 ore grazie a un attivismo di Mosca che nessuno si attendeva in queste modalità. Non a caso, ora fioccano le letture diversive. Gli Usa e la Nato annunciano la loro vigilanza, al fine di non permettere la nascita di un protettorato non più solo de facto ma concretamente operativo, tanto che Washington ha invitato all’evacuazione il personale diplomatico non necessario. L’Europa, finora, si è invece limitata a chiedere la fine della violenze.
E mentre la stampa intorbidisce le acque con fantasiose ricostruzioni pop rispetto al mining di Bitcoin che in Kazakhistan avrebbe esacerbato il caro-energia (oltre alla Nato, anche le Banche centrali ringraziano per il servigio), il gas europeo tira un sospiro di sollievo. E con esso, migliaia di aziende. E milioni di cittadini. Perché se per caso il golpe avesse trascinato nel caos il Paese per un periodo prolungato di tempo, spingendo la Russia a interventi sul mercato attraverso Gazprom, quota 150 euro per magawatt/ora sarebbe stata a portata di mano entro pochi giorni. E questa tabella mostra perché:
il crollo delle valutazioni di fine dicembre, infatti, era basato unicamente su una dinamica emergenziale di ri-dislocazione dei tankers, dall’Asia verso l’Europa, in nome dell’arbitraggio sullo spread di prezzo fra gas Ue e Usa. Ingestibile non solo nel lungo termine ma nemmeno nel medio.
Non a caso, il sollievo è durato una settimana. Poi, il braccio di ferro fra Bruxelles e Mosca è tornato a operare da market maker. E il trend è ripreso. Piaccia o meno, quel -10% intraday dei futures sul Dutch parla chiaro: l’Europa ha bisogno della Russia e del suo gas. E attenzione, perché la presa di posizione ufficiale della Cina deve porre ulteriore materiale di riflessione sul tavolo. Questi due grafici
mostrano la nuova criticità che potenzialmente starebbe per scaricare il suo peso sulla supply chain globale: tutti i servizi di trasporto su gomma dal distretto di Beilun al terminal cargo di Ningbo e viceversa sono stati sospesi o sottoposti a enormi ritardi per la nuova, draconiana politica di controlli anti-Covid, dopo la scoperta di un focolaio in quella provincia dello Zhejiang.
E se il mondo - e l’industria, soprattutto - ricorda cosa avvenne nel mese di agosto con il primo blocco di quello che è uno dei principali hub commerciali al mondo, giova ricordare come Ningbo sia il punto di connessione naturale tra le fabbriche della Cina dell’Est e i consumatori di tutto il mondo per prodotti come automobili, macchinari industriali, elettronica e giocattoli. In primis verso Ue e Regno Unito. Già oggi, la scarsità di collegamenti via gomma per l’approvvigionamento di materiali e componentistica ha portato al blocco della produzione per alcune fabbriche di polyestere e, stando all’analisi della Wood Mackenzie, ora il problema è aggravato dalla mancanza di consegne del gas ai siti produttivi, normalmente nell’ordine dei 300-400 trucks al giorno e oggi a malapena in area 150-200.
E questo altro grafico
mette in prospettiva la situazione: a dicembre, il tempo medio di attesa per i microchip ordinati è aumentato di 6 giorni rispetto al mese precedente, arrivando alla lettura record di 25,8 settimane. Il massimo assoluto da quando è cominciato il tracciamento nel 2017. E se il Philadelphia Stock Exchange Semiconductor Index gode della situazione, avendo appena segnato il +200% dall’inizio della pandemia, l’industria globale rischia di pagare un ulteriore prezzo alle criticità strutturali sulla supply chain. Tradotto, la Cina potrebbe utilizzare quei controllo e quei rallentamenti come arma di pressione politica sulle forniture internazionali, esattamente come la Russia fa con i flussi di gas.
Non a caso (e tanto per operare in modalità di de-escalation delle tensioni), l’ultimo paper di studio pubblicato dallo U.S. Army War College prevede come arma strategica in caso di invasione cinese, la distruzione di tutte le fabbriche di semiconduttori di Taiwan, al fine di arrecare il maggior danno possibile all’economia del Dragone. E al mondo intero, però. Sarà per tutto questo che, almeno per il momento, la reazione europea al caso kazako appare più tiepida e meno allineata del solito ai toni belligeranti di Nato e Dipartimento di Stato Usa? Una cosa è certa: il warfare è tornato in grande stile. D’altronde, un alibi post-Covid per nuovo deficit e nuovo Qe era tempo che venisse presentato ufficialmente ai mercati.
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