L’IPO di Poste Italiane permetterà allo Stato di incassare i capitali dell’IPO e dei futuri dividendi. Ecco come la privatizzazione di Poste è un modo per proseguire un’attività pubblica tramite i fondi privati.
L’IPO di Poste Italiane si sta avviando alla sua conclusione. A breve infatti sarà possibile scambiare le azioni del gruppo postale italiano sul mercato finanziario. Ma cosa ci guadagna lo Stato da questa operazione?
Poste Italiane è davvero una società da mercato finanziario?
Ecco come tutti i soldi delle azioni del collocamento di Poste Italiane entreranno nelle tasche dello Stato.
I benefici per lo Stato dall’IPO Poste Italiane
Differenza tra Offerta Pubblica di Vendita e Offerta Pubblica di Sottoscrizione
L’IPO di Poste Italiane è di tipo OPV, ossia Offerta Pubblica di Vendita che è ben differente dalla OPS ossia l’Offerta Pubblica di Sottoscrizione. In particolare, la forma di offerta al pubblico adottata nel caso di Poste è un’offerta di vendita di azioni e non di sottoscrizione delle azioni come suggeriscono le definizioni di OPS e OPV.
Cosa vuol dire questo?
Nel caso di OPS, ossia di sottoscrizione di nuove azioni, i flussi generati dalla quotazione in Borsa confluiscono all’interno della società che si sta quotando sulla Borsa. Nel caso di OPV invece, ci troviamo nella situazione in cui il proprietario della società quotanda decide di vendere parte della propria quota azionaria al mercato finanziario.
Infatti è proprio quello che sta succedendo con la quotazione in Borsa di Poste Italiane.
Lo Stato, che è detentore della proprietà di Poste Italiane attraverso il Ministero delle Finanze, sta vendendo il 40% della sua partecipazione al mercato finanziario. Con questa manovra lo Stato vedrà entrare denari freschi nel proprio bilancio, mentre la società Poste Italiane non percepirà neanche un euro dalla quotazione in Borsa.
Questo vuol dire che i nuovi capitali generati dal collocamento in Borsa, non verranno utilizzati dall’azienda Poste Italiane per poter incrementare i suoi investimenti e migliorare le strategie del Gruppo, bensì serviranno esclusivamente allo Stato per generare nuovi introiti probabilmente in vista della nuova Legge di Stabilità 2016.
Difatti, la nuova Legge di Stabilità prevede il finanziamento in deficit del bilancio statale, il che di fatto richiede allo Stato di trovare fondi che altrimenti non potrebbero essere incassati tramite il taglio delle tasse e che non possono essere reperiti unicamente con i prestiti che aumenterebbero il debito pubblico.
Con questa operazione lo Stato potrà fare cassa per una cifra che si aggira tra i 3 e i 4 miliardi di euro, rimanendo comunque in sella alla società rendendo la privatizzazione di Poste un’opera incompiuta (possiamo parlare di privatizzazione parziale).
Di fatto, la privatizzazione di Poste è un modo per proseguire un’attività pubblica tramite i fondi privati, quindi lo Stato incassa il cash dai risparmiatori e continua la gestione dell’attività.
Il ruolo dello Stato nella redditività di Poste Italiane
La Cassa Depositi e Prestiti, che è una banca statale, detiene il controllo del risparmio gestito di Poste cioè gestisce per Poste Italiane la raccolta finanziaria, fatturando circa un miliardo e mezzo. Questo fa capire quanto sia importante una banca pubblica per la generazione degli utili di Poste Italiane.
Per rendere appetibile l’acquisto delle azioni da parte degli investitori, Poste garantirà un payout minimo dell’80%. Cioè, Poste garantirà che minimo l’80% dell’utile verrà distribuito sotto forma di dividendo.
Questo aspetto è rilevante dal punto di vista finanziario, perché vuol dire che l’azienda investirà una minima parte dell’utile per poter ampliare e ammodernare la sua struttura operativa che potrebbe essere un fattore controproducente nel rapporto con i concorrenti.
Un primo risultato di una politica del genere lo si può vedere dal nuovo piano tariffario dei servizi postali che prevede l’aumento dei prezzi degli stessi e la consegna e vuotatura della posta a giorni alterne in alcune località italiane.
Inoltre, come dicevamo prima, il maggior azionista del gruppo rimarrà sempre lo Stato che così potrà garantirsi l’incasso anche degli alti dividendi.
Non è da sottovalutare il fatto che lo Stato rimanga azionista di maggioranza della società perché questo crea una figura nuova sul mercato: la società a redditività statale.
Infatti, la redditività dell’azienda Poste Italiana si basa su tre principi:
- compensi statali per l’attività di raccolta del risparmio.
- compensi pubblici per l’attività di recapito postale.
- dipendenti che svolgono attività finanziaria con contratto più sfavorevole rispetto ai contratti di chi svolge attività bancaria.
Tutti questi principi di redditività sono fuori mercato perché nessuna azienda quotata può fare leva su queste 3 opzioni. La cosa ancor più interessante è che questi 3 principi possono essere tenuti in piedi solo dallo Stato stesso. Infatti, lo Stato potrà garantire il monopolio di Poste, potrà regolare i rapporti finanziari Stato-Poste e infine potrà incidere sulla redditività della società tramite scelte pubbliche.
Una cosa del genere sul mercato finanziario non è presente e questo può in qualche modo essere un plus per Poste Italiane anche se tuttavia la espone completamente all’andamento dell’economia italiana e all’evolversi dei bilanci statali.
La privatizzazione di Poste è un esempio chiaro di come lo Stato italiano intenda il modo di fare privatizzazione in Italia: incassare i soldi dei risparmiatori tenendo comunque le redini della società. La prossima società che potrà far parte della categoria società a redditività statale sarà Ferrovie dello Stato per la quale il governo ha tutte le intenzioni di quotarla in Borsa potendo ripetere l’esperienza di Poste e contare su nuovi introiti freschi subito e in futuro.
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