Inchiesta: tutte le colpe della Cina nella diffusione del coronavirus - CNN

Riccardo Lozzi

1 Dicembre 2020 - 12:18

In un’inchiesta pubblicata dalla CNN sono state svelate le incongruenze tra i documenti pubblici e i dati interni sul coronavirus in Cina dallo scoppio della pandemia.

Inchiesta: tutte le colpe della Cina nella diffusione del coronavirus - CNN

Nel momento difficile che tutto il mondo si trova a vivere da inizio 2020, spesso ci si chiede quali e se ci siano responsabilità della Cina nella diffusione che ha causato la pandemia globale da coronavirus.

La CNN, uno dei più autorevoli media internazionali, ha pubblicato un’inchiesta al riguardo, esaminando 117 pagine documenti interni del Governo cinese sulla situazione nella fase dei primi contagi avvenuti a Wuhan, capitale della provincia dell’Hubei, dal 1° dicembre 2019, esattamente un anno fa.

I file sono stati inviati da alcuni informatori anonimi interni al sistema sanitario e sono stati analizzati da esperti indipendenti che ne hanno confermato la veridicità.

Coronavirus: le responsabilità della Cina nella diffusione globale

Facendo un confronto tra i documenti venuti in possesso dell’emittente statunitense e i dati forniti da Pechino per gli stessi giorni, si notano diverse differenze tra ciò che le istituzioni cinesi sapevano e ciò che è stato comunicato pubblicamente.

Rivelazioni che gettano una luce diversa sulle dichiarazioni del Dragone, che in più di un’occasione ha respinto al mittente le accuse arrivate dagli Stati Uniti e da altri Paesi occidentali di aver nascosto intenzionalmente le informazioni relative al Covid-19.

Anzi, nel Libro bianco pubblicato a giugno dal titolo “Combattere la Covid-19: la Cina in azione” la Repubblica Popolare sostiene come essa stessa abbia agito dimostrando un forte senso di responsabilità nei confronti dell’umanità e della comunità internazionale, fornendo i dati in maniera puntuale e precisa.

Tuttavia i numeri contenuti nei documenti, i quali rappresentano la più significativa fuga di dati dalla Cina dall’inizio della pandemia e che consentono di osservare la situazione in maniera più chiara, smentiscono tali affermazioni.

Incongruenze tra i dati pubblici e i documenti interni del Governo

Innanzitutto viene reso noto come i test all’inizio erano molto imprecisi, causando un ritardo nelle segnalazioni di nuovi casi dopo diverse settimane, con l’ammissione in un’audizione del 10 gennaio da parte dei funzionari, in cui si rivelava l’inefficacia dei tamponi, i quali davano regolarmente falsi negativi.

Al tempo stesso si registrano forti incongruenze in due giorni specifici, il 10 febbraio e il 7 marzo, durante i quali erano stati raccolti un ampio volume di numeri sul contagio del virus.

In queste due date, grazie alla differenza riscontrata nei numeri, è possibile comprendere quanto le autorità sapevano e quanto hanno omesso.

I dati del 10 febbraio e del 7 marzo

Il 10 febbraio la provincia di Hubei riporta in forma pubblica l’individuazione di 3.911 casi totali, di cui 2.097 confermati e 1.814 sospetti.

Nel documento interno riservato, invece, si arriva a una somma di 5.918, di cui 2.345 confermati, 1.772 diagnosticati clinicamente, 1.796 sospetti e altri 5 risultati positivi al test. Un terzo in più rispetto ai documenti ufficiali.

Il 7 marzo, invece, la discrepanza riguarda le morti da coronavirus. Dall’inizio dell’epidemia, secondo quanto riportato pubblicamente i decessi erano 2.986, mentre nei report riservati ne vengono dichiarati 3.456.

Il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità

Nel frattempo aumentano le pressioni da parte degli USA, dell’Unione Europea e di altri Stati occidentali, come l’Australia, per avviare delle indagini da parte delle istituzioni internazionali con la collaborazione di Pechino.

Al momento l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha ancora avuto il permesso di verificare le cartelle cliniche di quel periodo, anche se i funzionari sostengono di aver ricevuto rassicurazioni per la concessione di un’indagine sul campo in tempi brevi.

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