Il quadro presentato dal Censis presenta un’Italia in cui si incrina la fede nell’europeismo e nell’atlantismo. Non solo. Siamo un “Paese di ignoranti”.
Un Paese intrappolato nella sindrome italiana, in cui i conti non tornano, a caccia di un capro espiatorio contro cui sfogare la propria frustrazione, dove fermenta la rabbia contro l’Occidente, la NATO, l’Europa, in quest’ultimo caso contro l’UE tutta. È la carta d’identità dell’Italia, che è stata presentata oggi dal Censis, con la pubblicazione del 58esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese, relativo al 2024.
L’avversione contro l’Unione europea e contro l’Occidente è tra gli aspetti più importanti che emergono dalla relazione:
“Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (USA in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del PIL. In una società che ristagna, e che si è risvegliata dall’illusione che il destino dell’Occidente fosse di farsi mondo, le questioni identitarie sostituiscono le istanze delle classi sociali tradizionali e assumono una centralità inedita nella dialettica socio-politica”.
Record di occupati, ma anche di debito pubblico
Il quadro presentato dal Censis cozza in modo significativo contro la narrazione di un Paese, l’Italia, in cui le cose andrebbero bene, mentre “si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo .”
Se da un lato le buone notizie arrivate dal fronte dell’economia vengono confermate (ma non tutte), l’istituzione presenta una una realtà dei fatti decisamente più deprimente e fosca, che sconfessa in parte quella narrazione di un Paese tornato a marciare, tanto sbandierata dall’ottimismo del governo Meloni.
“A prima vista il 2024 potrebbe essere ricordato come l’anno dei record”: il riferimento è al “record degli occupati e del turismo estero”.
Analizzando le cose in modo più approndito, emerge una situazione più complessa: il 2024, di fatto, è stato anche un anno contrassegnato dal “ record della denatalità, del debito pubblico e dell’astensionismo elettorale ”, in una società in cui “ la sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati”.
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Tra l’altro, “ molti conti non tornano nel sistema-Italia e molte equazioni rimangono irrisolte”:
“Nonostante i segnali non incoraggianti circa l’andamento del PIL, il numero degli occupati si è attestato a 23.878.000 nella media dei primi sei mesi dell’anno, con un incremento di un milione e mezzo di posti di lavoro rispetto all’anno nero della pandemia e un aumento del 4,6% rispetto al 2007. Ma la distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023. Se il nostro tasso di attività fosse uguale a quello medio europeo, potremmo disporre di 3 milioni di forze di lavoro aggiuntive, e se raggiungessimo il livello europeo del tasso di occupazione, supereremmo la soglia dei 26 milioni di occupati: 3,3 milioni in più di quelli registrati nel 2023”.
L’Italia è un Paese che per ora galleggia, senza affondare, ma senza mostrare neanche la voglia di riprendersi: un Paese che “si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi ”; una realtà in cui, “anche nella dialettica sociale, la sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia”; ma in cui i cittadini sembrano arrancare, sfibrati dalla crisi: “ Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti”.
Diversi i nodi che emergono dal rapporto del Censis: “la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata; negli ultimi vent’anni (2003-2023) il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%”; “nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%”.
Tutto, in un contesto in cui “la sindrome italiana nasconde non poche insidie”, come dimostra il fatto che “l’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale” e come confermano le condizioni in cui versa il ceto medio, frustrato al punto da cadere alla mercé dell’ “antioccidentalismo”.
“Se il ceto medio si sfibra (i redditi sono inferiori del 7% rispetto a vent’anni fa) fermenta l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il 66% degli italiani incolpa l’Occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari. Intanto si infiamma la guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento”.
Il Paese di ignoranti, in balìa di stereotipi e pregiudizi
Ma l’Italia per il Censis è anche un Paese di ignoranti:
“La mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”.
I numeri presentati sono impietosi: per quanto concerne la scuola, non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano: “il 24,5% degli alunni al termine delle primarie, il 39,9% al termine delle medie, il 43,5% al termine delle superiori (negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80,0%)”.
In matematica non raggiungono i traguardi di apprendimento le seguenti percentuali: il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie e il 47,5% alle superiori (il picco si registra ancora negli istituti professionali, con l’81,0%).
Ancora, “il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), per il 32,4% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo, per il 6,1% il sommo poeta Dante Alighieri non è l’autore delle cantiche della Divina Commedia. Mentre si discute di egemonia culturale, per molti italiani si pone invece il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire (del resto, per il 5,8% il «culturista» è una «persona di cultura»).”
“Nel limbo dell’ignoranza possono attecchire stereotipi e pregiudizi: il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma), per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa ”.
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