Lavorare in modalità multitasking per molto tempo può essere controproducente: diversi studi hanno dimostrato che riduce l’attenzione, confonde le idee e incide negativamente sui risultati
Il multitasking non funziona, si lavora di più e si produce di meno. E vi spieghiamo il perché.
Mentre i computer vengono programmati per rispondere in maniera sempre più puntuale alle esigenze umane, le persone si ispirano ai processori e diventano multitasking, occupandosi contemporaneamente di più cose – anche molto diverse tra di loro.
Ma perché il multitasking non funziona?
Il multitasking è un’illusione
La mente può essere veloce ma non può operare in simultanea su diversi piani. Lo stesso termine “multitasking” (multiprocessualità) è stato mutuato direttamente dall’ambito informatico, trascinando con sé – almeno in un primo momento – l’accezione positiva di versatilità, elasticità mentale e rapidità d’azione.
Alcuni filosofi contemporanei hanno rintracciato nell’approccio multitasking la conseguenza del ritmo nevrotico con cui conduciamo le nostre vite e gestiamo la quotidianità. Questa tendenza ha investito anche la sfera lavorativa in un periodo storico ed economico che richiede dinamismo professionale, creatività e la capacità di reinventarsi, e che premia una cultura sempre più generalista.
Il progresso tecnologico e la molteplicità di device e di interfacce che sono spesso alla base di nuovi impieghi professionali, richiedono l’abilità da parte nostra di cambiare rapidamente contesto e di rispondere a numerosi input esterni nello stesso momento, o quasi.
In realtà quando scriviamo una mail mentre organizziamo la giornata lavorativa al telefono con un superiore, le due attività avvengono in rapidissima successione, dandoci l’illusione della simultaneità.
Le conseguenze del lavoro multitasking
Qualche mese fa i ricercatori dell’Università di New York hanno individuato la regione del cervello preposta allo svolgimento di più attività simultanee e responsabile dei disturbi dell’attenzione. Si tratta del nucleo reticolare del talamo dove vengono filtrati ed eventualmente bloccati pensieri e stimoli non inerenti all’attività che si sta svolgendo.
I meccanismi neuronali attivati da un’attività multitasking sono stati oggetto di studio per molti scienziati che oggi affermano in maniera concorde che la multiprocessualità umana porta ad una dispersione di concentrazione e di energia non auspicabile per il benessere della persona, fino ad arrivare ad una riduzione della densità di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore e ad una diminuzione tra i 10 e i 15 punti del Q.I. con conseguenze sulle capacità cognitive e sulla gestione delle emozioni.
Multitasking: si lavora dipiù e si produce di meno
Daniel J. Levitin - neuroscienziato, musicista e psicologo statunitense - nel suo libro The organized Mind: thinking straight in the in the Age of Information Overload (Dutton Books, 2014) sostiene che quando lavoriamo in modalità multitasking, siamo meno efficienti e rischiamo un vero e proprio esaurimento delle nostre funzioni cerebrali; il cervello non è più in grado di stabilire cosa è pertinente alle attività in corso e cosa non lo è; non può quindi separare le informazioni utili da quelle inutili e rimane ricettivo verso qualsiasi stimolo esterno costringendoci ad uno sforzo di concentrazione enorme che non garantisce i migliori risultati possibili per nessuna delle attività di cui ci stiamo occupando.
Il rapido passaggio da un’azione a un’altra (context switch) comporta un notevole impegno cognitivo e provoca un incremento della produzione di cortisolo - che regola lo stress e può portare ad atteggiamenti aggressivi - e di adrenalina, l’ormone che ci mantiene in allerta. L’illusione di poter fare più cose contemporaneamente aumenta inoltre la produzione di dopamina, che ci fa sentire momentaneamente soddisfatti e ci induce a produrre una nuova “dose” grazie ad una nuova serie di compiti svolti in rapida successione e alternanza.
Già nel 2013 grazie a uno studio coordinato dalla Michigan State University era emersa una correlazione tra il multitasking umano e la tendenza all’ansia e alla depressione. Il multitasking – sostiene Levitin – comporta un più rapido esaurimento di glucosio ossigenato, la sostanza che ci consente di rimanere concentrati. Ecco perché lavorare in questa modalità ci fa sentire spossati e stanchi anche dopo poche ore.
L’atteggiamento multitasking è una risposta dell’uomo moderno alla società in cui vive, tuttavia se non diventa l’unica modalità lavorativa di riferimento, può avere dei risvolti positivi in termini di ottimizzazione del tempo: pianificare la giornata mentre si ascolta la musica o leggere un libro mentre si viaggia in treno e si sorseggia un caffè non è dannoso.
In medio virtus stat: sarà sufficiente non esagerare e scegliere oculatamente le attività da svolgere in contemporanea per preservare la nostra lucidità mentale e l’efficienza lavorativa.
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