Dal surriscaldamento globale, alle migrazioni fuori tempo, per arrivare a una società che è ormai incapace di riconoscere ciò che sta accadendo
Parlare di cambiamento climatico è diventata, ormai, quasi un’ovvietà. Chiunque, almeno vagamente, sa che il nostro pianeta è soggetto a processi di surriscaldamento che stanno determinando, a livello globale, variazioni del clima e delle temperature. Fin qui il dato. Meno scontati e meno noti sono, invece, gli effetti e le cause di questo fenomeno tanto preoccupante quanto impercettibile.
Partiamo dalle conseguenze in campo ambientale. I processi evolutivi a cui ogni specie è soggetta, hanno determinato i tempi della vita degli stessi animali: gli uccelli, ad esempio, migrano per deporre le uova, in un determinato luogo, più caldo di quello in cui hanno trascorso l’inverno e arrivano in quel luogo, proprio nel momento in cui il cibo, ovvero gli insetti, è più abbondante, così da poter soddisfare più facilmente il loro fabbisogno nutrizionale.
Quel che naturalmente accadeva al momento giusto, con il cambiamento climatico diventa un “mistiming” ovvero un “mancato tempismo” perché gli uccelli, avvertendo troppo in anticipo l’arrivo del caldo, iniziano a migrare nel momento sbagliato e ciò ha come conseguenza la schiusa delle uova in un momento in cui il cibo non è ancora disponibile in abbondanza e, quindi, in ultima istanza, il rischio di una rapida estinzione di quella stessa specie. La stessa, triste, storia potrebbe essere raccontata, con i dovuti distinguo, per i caribù, le sterne artiche, le balie nere e molte altre specie di uccelli e mammiferi.
Passiamo alle cause. Banalmente si potrebbe dire che la causa del surriscaldamento globale è l’industrializzazione e la produzione di gas serra. Giusto, ma c’è anche altro. L’industrializzazione e quindi, il mistiming climatico sono figli di un’epoca in cui il capitalismo si è diffuso a livello globale, senza alcuna regolamentazione: la necessità di massicce transizioni energetiche ha favorito il libero scambio e la regolamentazione di produzioni ed emissioni è diventata un tabù, proprio in un momento storico in cui la regolamentazione stessa sarebbe essenziale per determinare un serio cambiamento di rotta.
Il capitalismo avanzato ha prodotto però, anche delle conseguenze molto differenti, seppur connesse al cambiamento climatico. Tali conseguenze riguardano la percezione delle persone e lo stile di vita che esse hanno assunto nelle società attuali. Nel momento in cui l’unica vera necessità per la sopravvivenza del pianeta e per il benessere delle future generazioni sarebbe quella di consumare di meno, il mercato ci impone solo di consumare di più e a ritmi più serrati poiché se non consumiamo, se non spendiamo, se non acquistiamo un bene piuttosto che un altro (l’iPhone piuttosto che le Nike; il SUV piuttosto che la barca) non riusciamo neanche a esprimere la nostra personalità.
Nella frenesia contemporanea che si consuma dentro gli ascensori dei nostri palazzi, nei vagoni delle nostre metropolitane, nelle sale di aspetto dei nostri aeroporti, l’uomo degli anni Zero perde la reale percezione di ciò che lo circonda e rimane immerso nell’illusione che ciò che ha di fronte sia sempre uguale. È un’illusione, appunto, favorita anche dal fatto che l’aria è l’elemento più metafisico della natura che il clima è qualcosa che non si vede, almeno nella vita di tutti i giorni.
Una persona che vive in un piccolo centro, a più stretto contatto con la natura, ha un occhio più attento alla neve che d’inverno cade sempre più raramente, ai fiori che sbocciano troppo presto, alle mezze stagioni che “non esistono più”. L’uomo del capitalismo avanzato e delle città metropolitane, invece, sembra aver in spregio quell’elemento che dagli antichi greci (Pneuma = soffio ma anche spirito vitale) agli Inuit ai Navajo era considerato sacro.
Chi osserva scientificamente la natura, le produzioni, gli ecosistemi e ne trae delle conseguenze teoriche, ci racconta però una storia diversa: una storia in cui il cambiamento climatico, determina calamità naturali, siccità, colture perse, bestiame che muore di fame e conflitti etnici determinati da un clima che costringe popolazioni a migrare in cerca di un luogo più ospitale in cui vivere.
A questo punto si arriva a un bivio: o adottare un punto di vista che Naomi Klein in Shock Economy ha definito “capitalismo dei disastri”, punto di vista secondo il quale anche un disastro ambientale (indotto dall’uomo o determinatosi autonomamente) può essere visto come un’opportunità di profitto oppure ripensare a fondo il nostro modo di vivere e di consumare, il nostro modo di ridurre, riutilizzare e riciclare, il nostro modo di abitare città e paesi, in una parola il nostro modo di stare al mondo.
Un valido aiuto per questa rivoluzione umana e per conoscere le strette connessioni che intercorrono tra il capitalismo avanzato e i cambiamenti climatici sarà costituito dal nuovo libro di Naomi Klein, l’autrice di No Logo che, nel prossimo Settembre 2014, pubblicherà Questo cambia tutto. Il capitalismo contro il clima, in uscita contemporanea in USA, Canada e Gran Bretagna.
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