I motivi del Mattarella Bis vanno ben oltre la ricerca di stabilità. Fugare le elezioni anticipate era l’obiettivo di chi sa che perderà la poltrona nel 2023.
La fine che coincide con l’inizio. C’era da aspettarselo.
Dopo 6 giorni, 8 scrutini e numerosi tentativi (vani) di ricerca di un nome condiviso capace di mantenere l’equilibrio dell’attuale Governo e assecondare contemporaneamente la volontà del presidente uscente di non essere rieletto, si è giunti alla conclusione che quel fatidico nome d’intesa al momento non esista. Tradendo quindi le aspettative, si apre davanti all’Italia la prospettiva del Mattarella bis.
Una scelta che il noto sondaggista di YouTrend Lorenzo Pregliasco ha definito «irrituale» nonostante il suo noto precedente incarnato nella figura di Napolitano. Comparando le due vicende, a distanza di 9 anni, lo scenario appare diverso sotto alcuni punti di vista anche se, stavolta come allora, è la profonda crisi della classe politica a rendersi evidente.
Il timore delle elezioni anticipate ha giocato un ruolo importante, ma c’è dell’altro. Analizzando gli esiti della votazione ma soprattutto le dinamiche che hanno permesso la loro concretizzazione, andiamo quindi ad indagare da vicino i reali motivi che hanno spinto i partiti ad esprimere questa preferenza.
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I motivi sono tutti personalistici
Una cosa è certa: i motivi del Mattarella Bis vanno ben oltre le accorate parole che il Capo dello Stato ha pronunciato la sera del 29 gennaio per commentare la sua rielezione.
Salvaguardare la stabilità del Paese sul fronte economico e sanitario è solo un ricatto morale che i partiti hanno imposto all’uomo delle istituzioni per ottenere il suo benestare a posticipare il meritato pensionamento.
Certo, è indubbiamente vero che Mattarella stesso, al tempo della caduta del Conte 2 e della chiamata di Draghi, aveva imposto la ricerca di un accordo per evitare lo spettro delle elezioni anticipate, ma al momento l’interesse a non tornare alle urne va ben al di là del timore di un picco dei contagi e si sostanzia nel mantenimento dei propri posti da parte dei parlamentari.
Il presidente Mattarella è stato riconfermato perché questa era l’unica mossa che consentisse alla classe politica di «mantenere lo status quo» ancora per un anno: tanti al prossimo giro non saranno rieletti e creare ora un spaccatura per non uscirne vittoriosi non era auspicabile.
Nonostante Pd, Italia viva e Forza Italia puntassero inizialmente sull’elezione al Colle di Mario Draghi, questo passaggio avrebbe messo in crisi il Governo richiedendo necessariamente un rimpasto o altre forme di tamponamento, tutte strategie di intervento alle quali i leader e i loro sostenitori evidentemente non erano pronti.
Poca presa e poca flessibilità dei leader
A concorrere all’esito di queste elezioni però sono stati anche fattori più sottili, che da oggi in poi forse non passeranno più così tanto inosservati.
Mancava un nome di alto profilo condiviso prima di tutto per l’incapacità di scendere a compromessi, ma non ci sono stati neppure candidati di bandiera, come la Casellati, forti abbastanza da superare il contrasto delle correnti e delle spaccature interne come quella che oggi si registra nel centrodestra.
Neanche i classici giochi di potere ormai sono alla portata di gruppi tanto divisi e, nel segreto della cabina, il clima di malumore porta tanti deputati e senatori a trasformarsi facilmente in ottimi franchi tiratori.
Gli stessi voti dispersi, avvicendatisi sia verso candidati potenziali che verso nomi umoristici e poco quirinabili già a partire dal primissimo scrutinio di lunedì 24 gennaio, erano più che altro una spia della mancata coesione e del centrodestra e del centrosinistra. Il potere dei singoli leader, che in questi anni sembravano il vero fulcro del gioco politico, si è disgregato davanti alle silenziose volontà del Parlamento.
Anche il toto nomi stilato dalla stampa nelle settimane precedenti al voto è stato prevedibilmente vanificato da questa debolezza strutturale.
La rielezione di Sergio Mattarella, a conti fatti, «assicura la sopravvivenza del governo di unità nazionale di Mario Draghi» come scrive, in un commento a caldo, una delle più importanti testate giornalistiche tedesche, Sueddeutsche Zeitung. Questa scelta però resta anche e soprattutto «una fragorosa sconfitta per la classe politica e i suoi leader».
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