Prezzo petrolio: fine della cooperazione tra Russia e OPEC a causa del coronavirus? Analizziamo cosa sta succedendo.
Una settimana fa, in occasione di una riunione d’emergenza della Commissione tecnica dell’OPEC, la Russia ha rifiutato di accettare la proposta del cartello di ridurre la produzione di ulteriori 600.000 barili al giorno (bpd).
Argomentando la posizione russa, il ministro dell’Energia Alexander Novak ha affermato che per prendere una decisione del genere occorre del tempo per valutare l’effetto del coronavirus sul prezzo del petrolio.
Ad oggi non è ancora chiaro quanto il coronavirus ridurrà la domanda globale di greggio. Pochi giorni fa l’OPEC ha ridotto le previsioni di crescita della domanda nel 2020 di 230.000 bpd, per un totale di 0,99 milioni bpd.
L’Oxford Institute for Energy Studies è più pessimista: secondo le sue stime, nella sola Cina, la domanda di petrolio nel primo trimestre 2020 diminuirà di almeno 500.000 bpd. Il ministro Novak, dall’altra parte, mantiene un moderato ottimismo, ritenendo che la discesa globale della domanda petrolifera non supererà i 200.000 bpd.
Petrolio: perché la Russia sta per abbandonare l’OPEC
Tuttavia, anche se il coronavirus causasse danni maggiori rispetto alle stime più pessimistiche, la Russia non vorrà ridurre ulteriormente la sua produzione di petrolio - al contrario, è tempo di iniziare a prepararsi ad un’uscita graduale dall’accordo con l’OPEC+. Soprattutto per la crescente concorrenza nel mercato asiatico, dove le società russe hanno reindirizzato le esportazioni negli ultimi anni.
Secondo BP, dal 2016 al 2018, la Russia ha ridotto le forniture di petrolio in Europa del 14% (da 177,4 a 153,3 milioni di tonnellate), aumentando invece le esportazioni in Cina e India di oltre un terzo (da 52,8 a 73,8 milioni di tonnellate). Una strategia simile è stata utilizzata dall’Arabia Saudita, che nello stesso periodo è riuscita a compensare la riduzione delle forniture all’Europa (di 1,7 milioni di tonnellate) con il loro aumento totale in India e Cina (di 4,7 milioni di tonnellate).
Lo stesso vale per gli Stati Uniti, che l’anno scorso hanno ridotto le esportazioni in Cina di oltre il doppio del loro valore originale a causa della guerra commerciale (5,8 milioni di tonnellate rispetto ai 12,6 milioni di tonnellate del 2018, secondo Refinitiv).
Nei prossimi due anni, gli Stati Uniti aumenteranno inevitabilmente le esportazioni a seguito della Fase 1 dell’accordo commerciale, in cui la Cina si impegna ad acquistare petrolio, gas naturale e altri prodotti energetici per 52,4 miliardi di dollari agli Stati Uniti entro la fine del 2021.
Il nodo del mercato petrolifero in Asia
La concorrenza crescente complicherà l’ingresso nei mercati asiatici delle compagnie russe che intendono monetizzare le riserve petrolifere della Siberia orientale attraverso le esportazioni. Gli stabilimenti presenti nella regione sono alla base del progetto Vostok Oil, che in sé vale 10 trilioni di rubli (oltre $157 miliardi), che aumenteranno il PIL russo del 2% annuo secondo le stime del CEO della Rosneft Igor Sechin.
L’aumento della produzione in questi settori porterà inevitabilmente alla mancata conformità all’accordo con l’OPEC+ sul taglio della produzione, con il quale il cartello spera di mantenere il prezzo del petrolio al di sopra dei $60 al barile. Tuttavia, tale livello di prezzo è svantaggioso per l’economia cinese e quella indiana, che nel 2019 hanno mostrato i tassi di crescita più bassi rispettivamente degli ultimi 30 e 11 anni.
Ciò, a sua volta, rallenta la domanda di petrolio: l’Agenzia internazionale dell’energia aveva già previsto una discesa nella domanda trimestrale in Cina a dicembre (da 13,84 milioni di barili al giorno nel quarto trimestre 2019 a 13,53 milioni di barili nel primo trimestre 2020), quando il coronavirus non aveva ancora influenzato i mercati delle materie prime.
leggi anche
Coronavirus: quanto perderà l’economia mondiale?
© RIPRODUZIONE RISERVATA