La salute sembra non contare nulla in confronto alle infrastrutture e l’Alta Velocità. Eppure i danni sono già sotto gli occhi di tutti.
Il concetto di One Health, affermatosi a livello globale, risulta sconosciuto a Rete Ferroviaria Italiana, alla società di ingegneria di Fs Italferr e al costruttore della linea alta velocità Brescia/Verona. “La visione One Health è un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse e si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente. È riconosciuta ufficialmente dal Ministero della Salute italiano, dalla Commissione Europea e da tutte le organizzazioni internazionali quale strategia rilevante in tutti i settori che beneficiano della collaborazione tra diverse discipline”, secondo quanto riporta l’Istituto Superiore di Sanità.
A dirla tutta, anche alla Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) da un paio di anni la visione One Health è ignorata quando si tratta di grandi opere. Nelle osservazioni che la legge prevede sul procedimento amministrativo di progetti sottoposti a VIA, cittadini, associazioni, enti locali fanno osservazioni pertinenti il progetto e l’impatto sul territorio.
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Furono fatte osservazioni tre anni fa circa l’esistenza di 44 siti inquinati da bonificare che interessavano il tracciato dell’alta velocità Brescia/Verona. Quelle ricevute sono state risposte insoddisfacenti. E scoppia il fattaccio: sono stati ritrovati rifiuti speciali pericolosi, interrati a Calcinato e Peschiera a seguito degli scavi per l’alta velocità. Riporto solo un rifiuto tra i più rappresentativi tra quelli trovati dall’ARPA Lombardia, il dicloroetilene, più di 5 volte superiore al limite consentito e presente nelle acque di falda. Sono aree da bonificare ma il costruttore (General Contractor Cepav 2 consorzio formato da Snam di Eni, Pizzarotti, Gruppo ICM) sembra voler circoscrivere l’intervento a un’area molto limitata (la norma di riferimento è l’art. 245 del Codice dell’Ambiente). Davvero ridicolo il Forum sullo sviluppo sostenibile organizzato dalla Regione Lombardia e che si apre oggi a Milano.
La insanabile contraddizione tra obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, condivisione del Green Deal europeo, del Piano Integrato Energia e Clima 2030 e la pioggia di cemento di infrastrutturale tra pedemontane, tangenziali, svincoli: sessanta anni fa tre milioni di abitanti in meno e terreni agricoli pari al 56% del totale, scesi al 44%. Nel ventennio 1980/2000 le aree antropizzate sono salite da 194 mila a 301 mila ettari e l’agricoltura ha perso nello stesso periodo 217 mila ettari. Cemento è uguale a energia massicciamente consumata e, proporzionale, a emissioni di CO2. Lo scandalo bonifiche interessa l’Italia da molti decenni. La Lombardia con i suoi 3733 siti da bonificare è al primo posto in Italia seguita dalla Toscana (1600) e dal Lazio (1088).
Complessivamente i siti da bonificare denominati d’interesse nazionale perché l’inquinamento è stato considerato talmente grave da comportare un elevato rischio sanitario sono 41 e circa 15 mila quelli d’interesse regionale. Le norme che disciplinano questo aspetto sono di 23 anni fa. Sei milioni di persone a rischio e 3 miliardi spesi con minimi risultati. L’organismo che ha il compito per legge di monitorare i rischi sanitari di quanti vivono nelle aree da bonificare è l’Istituto Superiore di Sanità: l’incremento di patologie gravi che ha interessato quelle aree da bonificare è del 9% per gli under 25.
Scrive ISPRA sui siti d’interesse nazionale: “in seguito ad attività umane pregresse o in corso, è stata accertata un’alterazione delle caratteristiche qualitative delle matrici ambientali, suolo, sottosuolo e acque sotterranee tale da rappresentare un rischio per la salute umana”. Un convegno di alcuni anni fa a Torino organizzato da Legambiente dal titolo “Ecomafie al nord: conoscere i sintomi per creare anticorpi” parlava di una ecomafia che si nutre di cemento e rifiuti. A tal proposito, la scoperta di aree con rifiuti speciali, gli interramenti di rifiuti speciali di attività industriali pregresse utilizzando grandi opere è stata oggetto di denuncia da parte dei Procuratori Antimafia Roberti e Pennisi i quali dichiararono che l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano (parallela alla A4 To/Mi/Ve) era servita per interrare rifiuti speciali.
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