Un anticorpo monoclonale potrebbe essere l’arma in più contro il coronavirus. Ad annunciarne la scoperta i ricercatori dell’Università di Utrecht.
Un anticorpo che neutralizza il coronavirus: il nome tecnico è 47D11 ed è stato scoperto dai ricercatori dell’Università di Utrecht in Olanda.
La notizia è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications e rappresenterebbe secondo gli esperti un tassello fondamentale nella lotta al SARS-COV-2. L’anticorpo monoclonale infatti permetterà di attuare una terapia simile a quella che utilizza il plasma dei pazienti guariti, un’immunoterapia passiva.
Il professor Francesco Le Foche, immunologo clinico del Policlinico Umberto I di Roma ha spiegato perché si tratta di un “progresso importantissimo” ai microfoni di Rai Radio 2.
Come funziona l’anticorpo che neutralizza il coronavirus
La caratteristica più importante dell’anticorpo sviluppato dagli scienziati dell’Università di Utrecht in laboratorio è la capacità di riproduzione continuativa.
Francesco Le Foche, immunologo clinico del Policlinico Umberto I di Roma ne ha descritto il funzionamento ai microfoni di Rai Radio 2:
“47D11 è un anticorpo un po’ particolare che ci dice essere sicuramente neutralizzante. Si lega all’arpione del virus e non gli permette di agganciare la cellula. È un anticorpo neutralizzante che non è un vaccino ma che può essere utilizzato per una terapia”
L’anticorpo è stato già usato contro la SARS
L’anticorpo monoclonale 47D11 era stato già utilizzato contro la SARS, malattia scatenata da un parente stretto del coronavirus che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi. In quel caso però la terapia non servì a molto visto che l’epidemia durò pochi mesi (scoppiò a novembre 2002 e si spense a luglio 2003). Secondo Le Foche, lo stesso destino potrebbe essere riservato al virus della COVID-19 che già nelle ultime settimane ha presentato sindromi meno aggressive.
Ecco cos’ha detto l’immunologo in merito:
“Oggi vediamo delle sindromi meno importanti dal punto di vista clinico. Questo potrebbe essere dato da una riduzione della virulenza del virus. Come me, sul campo, lo hanno visto altri colleghi. Riserviamo la terapia intensiva a casi rarissimi, nel resto dei casi ci troviamo davanti a delle sindromi meno aggressive”.
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