Ormai l’abuso d’ufficio è stato abolito, cambiando la punibilità di diverse condotte. La Corte di Cassazione interroga ora la Corte Costituzionale: il reato potrebbe tornare.
Nonostante tutte le difficoltà e le polemiche, l’abolizione dell’abuso d’ufficio è diventata realtà con la legge n. 114/2024. Una scelta necessaria per eliminare la “paura della firma” dei pubblici ufficiali che secondo la presidente Giorgia Meloni paralizza le pubbliche amministrazioni e sostenuta fermamente dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. L’abolizione è stata per contro fortemente criticata dal Consiglio superiore della magistratura e dall’Autorità nazionale anticorruzione, ma non solo, temendo che sorgano lacune di tutela e complicazioni nelle indagini. Difatti, ora la questione viene rimessa dalla Cassazione alla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla sua legittimità. In altre parole, il reato potrebbe tornare a essere tale. Vediamo cos’è cambiato e perché ci sono delle perplessità in proposito.
Cos’è l’abuso d’ufficio?
L’abuso d’ufficio è un reato disciplinato dall’articolo 323 del Codice penale e fa parte dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Si tratta di un reato proprio, poiché soltanto alcuni soggetti determinati possono commetterlo. Per esempio, il reato di furto è comune, poiché chiunque commetta la condotta di impossessarsi della cosa altrui lo commette. Al contrario, il reato d’abuso d’ufficio può essere commesso soltanto da pubblici ufficiali e dagli incaricati di pubblico servizio, peraltro soltanto nello svolgimento delle funzioni o del servizio.
L’abuso d’ufficio, infatti, si configura quando un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio procura intenzionalmente per sé stesso o per i suoi prossimi congiunti un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure arreca ad altri un danno ingiusto. La condotta è penalmente rilevante quando avviene nell’esercizio delle funzioni o del servizio pubblico e contro le regole di condotta previste dalla legge.
Per esempio, assegnare il posto di lavoro a un familiare a discapito di candidati terzi più idonei integra è abuso d’ufficio, lo stesso per il sindaco che aggira le regole sugli appalti per uno scambio di favori. Questo reato è punito con la reclusione da 1 a 4 anni, pena che può salire in caso di aggravanti (danno particolarmente grave o vantaggio ingente).
Cosa è cambiato con l’abuso d’ufficio viene abolito
Il ridimensionamento del reato di abuso d’ufficio è una questione che è stata a lungo dibattuta nelle sedi di governo italiane. La riforma Berlusconi, infatti, non è altro che il più recente degli interventi legislativi attuati in proposito. È in genere il centrodestra ad avere dimostrato la maggiore reticenza nei confronti della normativa, lamentandone l’arbitrarietà e la discrezionalità, così come quasi tutti i sindaci, senza distinzioni politiche di sorta.
In particolare, il reato di abuso d’ufficio è accusato di aver notevolmente rallentato la burocrazia, generando nei pubblici ufficiali la “paura della firma”. Così, la premier Giorgia Meloni ha definito il timore dei sindaci e dei loro collaboratori nell’assumersi le responsabilità del loro ruolo, con la paura di ripercussioni indesiderate. Opinione largamente condivisa, anche se secondo i magistrati e l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) sarebbe più opportuno delimitare con più precisione il reato.
L’abuso d’ufficio viene invece cancellato del tutto, e non solo limitato nella sua fattispecie penale. In concreto, questo significa che alcuni comportamenti – precedentemente sanzionabili – non saranno più punibili a livello di diritto penale. Il ministro Nordio ha comunque lasciato aperta la possibilità di introdurre nuovi meccanismi sanzionatori, se dovessero rivelarsi necessari.
L’effetto a cui ha miratp la riforma della Giustizia è quindi quello di velocizzare la macchina burocratica, cosa che dovrebbe quasi certamente verificarsi. Il ddl Nordio è così restrittivo circa all’abuso d’ufficio che è difficile pensare che possa ancora creare reticenza nei pubblici ufficiali. La criticata discrezionalità è senza dubbio eliminata dalle nuove previsioni, anche se è innegabile il potenziale risvolto negativo di questo vantaggio.
Oltretutto, viene sottolineato nel testo della riforma, che esiste una completa normativa riguardante i reati nell’ambito della pubblica amministrazione. La sua cancellazione appare quindi come un giusto compromesso, anche se l’Associazione nazionale magistrati ha rilevato una problematica molto importante: le indagini per abuso d’ufficio erano spesso la strada per scoprire reati ben più gravi, come la corruzione, rischiando ora di lasciare una vera e propria lacuna nel sistema della giustizia. Proprio questo punto solleva le perplessità della Corte di Cassazione.
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Quali sono i rischi dell’abolizione?
Con l’abolizione del reato, diversi comportamenti non sono più punibili, nonostante attengano perfettamente alla condotta in questione. In concreto, questo significa che – per fare un esempio – non è perseguibile penalmente il carabiniere che assicuri l’assunzione di un suo parente, su “raccomandazione”.
È proprio per questo che la decisione del Guardasigilli è oggetto di accese critiche, anche se il ministro Nordio ha portato come sostegno della sua tesi dei dati estremamente significativi: c’è un enorme squilibrio fra iscrizioni al registro degli indagati e le archiviazioni. Questo significa che moltissimi pubblici ufficiali vengono accusati del reato, ma poi soltanto pochi di loro effettivamente condannati.
Resta comunque punibile il reato di corruzione, che si verifica con modalità molto simili all’abuso d’ufficio ma prevede come ricompensa una somma di denaro o comunque un’utilità. I vantaggi al di fuori di questa ipotesi resteranno esclusi dalla disciplina penale, tra cui: assegnazione di un appalto, assunzione, priorità nell’assistenza sanitaria, promozione scolastica e così via.
Il ministro Nordio non ritiene la questione preoccupante, in virtù dell’esistente normativa contro questi comportamenti. Si rimanda così alle norme specifiche di settore, con il rischio però di una “minore certezza delle regole”, citando il Presidente dell’Anac Giuseppe Busia. Poi, il già citato problema nelle indagini, che nell’insieme potrebbero rallentare la giustizia, anziché sveltirla come auspicato.
Una tesi che non convince del tutto la Corte di Cassazione, secondo cui l’abolizione dell’abuso d’ufficio contrasterebbe con Convenzione internazionale Onu contro la corruzione. Quest’ultima stabilisce all’articolo 19 quanto segue:
Ciascuno Stato Parte esamina l’adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un’altra persona o entità.
Una definizione assimilabile al reato di abuso d’ufficio come era descritto dal Codice penale, rimandando così al giudizio della Corte Costituzionale la legittimità dell’abrogazione del reato. Potrebbe rilevare, in particolar modo, la mancanza di misure idonee a contrastare la corruzione che sopperiscano ai cambiamenti introdotti con la riforma. Se venissero giudicati insufficienti e l’abolizione illegittima, il reato d’abuso d’ufficio potrebbe tornare, seppur senza alcuna punibilità per il periodo antecedente.
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