Dopo la segnalazione di un caso nel Tennessee, si parla di allarme mucca pazza negli Stati Uniti. Ecco cosa c’è di vero e perché non c’è motivo di preoccuparsi.
Nelle ultime ore è stato segnalato un caso di mucca pazza negli Stati Uniti e alla diffusione della notizia sono immediatamente seguiti allarmismi e preoccupazioni. In realtà, non c’è ragione di pensare a un allarme mucca pazza e tanto meno a una possibile epidemia. Il caso segnalato, infatti, non fa presupporre alcuna caratteristica di rischio.
Allarme mucca pazza negli Stati Uniti, cosa c’è di vero
Il dipartimento dell’agricoltura statunitense ha comunicato la scoperta di un caso di mucca pazza, dando prova di un sistema di controllo piuttosto rapido ed efficiente. In particolare, l’animale in questione è affetto da una forma particolare di mucca pazza, (tecnicamente chiamata encefalopatia spongiforme bovina) del tutto atipica.
In particolare, questa forma di malattia è diversa da quella conosciuta durante l’epidemia degli anni ‘90, in quanto spontanea e con cause di contagio non ancora identificate. Nonostante ciò, il fattore di rischio è pressoché nullo, dato il raro contagio e il sistema di sorveglianza. Proprio grazie all’efficienza dei controlli, infatti, una volta isolato il caso l’animale non è stato neanche macellato.
La scoperta della mucca malata, originaria del Tennessee, non dovrebbe pertanto preoccupare tanto. Si tratta del settimo caso in tutto il paese, un fattore molto basso per poter anche solo pensare a un allarme. L’Organizzazione mondiale per la salute animale (Woah per usare l’acronimo statunitense) ha peraltro ricordato che esiste una specifica suddivisione del rischio sanitario. Nel dettaglio, gli Stati Uniti appartengono alle aree a rischio trascurabile, così come l’Italia e gran parte dell’Europa.
La trascurabilità del rischio deriva principalmente da tre aspetti che contribuiscono a mantenere il pericolo sotto una soglia rilevabile, nel dettaglio:
- La funzionalità del sistema di sorveglianza per la salute animale;
- l’assenza di casi indigeni di mucca pazza in animali nati dopo il 2012;
- la presenza di normative stringenti sui mangimi, soprattutto il divieto di somministrare ai ruminanti alimenti ottenuti a loro volta da altri ruminanti.
Nell’insieme, l’attuazione di queste precauzioni e il ridottissimo numero dei casi sono molto rassicuranti in tema di rischio sanitario. Anzi, proprio la rapidità con cui il caso è stato individuato dovrebbe rassicurare sull’operosità dei controlli.
Cos’è la mucca pazza e perché non serve preoccuparsi
La mucca pazza è una malattia neurologica, degenerativa e irreversibile che colpisce per l’appunto i bovini. Il nome scientifico è encefalopatia spongiforme bovina, nota anche come Bse (dall’acronimo del corrispettivo inglese). Il nome convenzionale di mucca pazza deriva proprio dagli insoliti cambiamenti comportamentali (ad esempio l’aggressività) che figurano tra i sintomi principali.
Nonostante la malattia sia stata praticamente debellata, ancora oggi sono ignote diverse caratteristiche che la riguardano. È comunque certo che a causarla sia una proteina “difettosa” e che il principale mezzo di contagio siano i mangimi infettati da altri animali malati. Proprio per questo, l’accurato controllo dei mangimi è fondamentale a tenere sotto controllo qualsiasi possibile diffusione.
A livello globale, ormai, la mucca pazza non costituisce un rischio apprezzabile, come ricorda il Woah, ma in passato non è stato così. Le proteine che causano la mucca pazza, infatti, sono responsabili anche della vCJD (variante Creutzfeldt-Jakob) in grado di infettare l’uomo e portare a conseguenze disastrose, proprio come è successo negli 90.
I casi più recenti, però, oltre a essere isolati sono perlopiù dovuti alla forma spontanea di Bse, che sorge senza nessuna causa particolare e soprattutto senza un precedente contatto con cibo o materiali infettati. Nonostante non sia ancora chiara la causa originaria che porta alla formazione delle proteine responsabili (i prioni), gli esperti ritengono probabile che questa forma atipica sia influenzata soprattutto dalla genetica e da fattori ambientali. Di conseguenza, non si può supporre la presenza di altri animali contagiati ed è altrettanto escludibile un nuovo contagio, dato che la mucca del Tennessee non è stata macellata (e la malattia non sembra trasmettersi diversamente).
© RIPRODUZIONE RISERVATA