Nel secondo trimestre del 2024 la Cina annunciato investimenti in Asia per un valore di 9,5 miliardi di dollari, più che in qualsiasi altra regione.
Sono finiti i tempi in cui la Cina esportava manifattura a basso costo – leggi: oggettistica varia – tra Europa e Stati Uniti, per la gioia dei consumatori occidentali ben felici di acquistare prodotti low cost e per l’orrore, invece, di aziende locali che si vedevano rosicchiare fette di mercato da concorrenti tanto agguerriti quanto impossibili da fermare.
Ci sono voluti quasi quattro decenni, dalle riforme di apertura varate da Deng Xiaoping nel 1978 all’ascesa di Xi Jinping nel 2013 per rompere l’equilibrio internazionale tra il Dragone e il blocco Usa-Ue. Con la Cina diventata una potenza economica e geopolitica, e Washington spaventata dall’ascesa di un simile (e temibile) sfidante, il mondo avrebbe dovuto fare i conti con la guerra dei dazi avallata da Donald Trump, le tensioni internazionali e la minaccia, sbandierata da molti leader occidentali, di effettuare il fantomatico, e per certi versi utopico, decoupling dal Dragone.
Il gigante asiatico, nel frattempo, ha affinato la propria crescita e ha bruciato sul tempo i falchi occidentali. O almeno, in termini di disaccoppiamento dall’Occidente ha dato la sensazione di poter prendere iniziativa prima e meglio degli altri. Basta dare un’occhiata ai nuovi dati raccolti dal Rhodium Group: nel secondo trimestre del 2024, le aziende cinesi hanno annunciato investimenti in Asia per un valore di 9,5 miliardi di dollari, ovvero più che in qualsiasi altra regione. I prodotti di traino? Progetti e beni relativi al settore energetico, a quello dell’automotive (elettriche) e al settore dell’estrazione mineraria. [...]
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