Molti lavoratori ricevono buono pasto o buoni sconto ( frin e benefit) come integrazione al reddito con indubbi vantaggi fiscali. Quali sono le differenze e gli usi di questi due strumenti?
Cosa sono i buoni pasto e cosa, invece, i buoni spesa? Quali sono le differenze, le analogie, il trattamento fiscale e come si possono utilizzare questi due strumenti che vanno a integrare il reddito?
Quale di questi due strumenti è più vantaggioso avendo in considerazione le novità fiscali introdotte a partire dal 2024?
Vediamo nel dettaglio tutti gli elementi di questi due importanti strumenti di integrazione del reddito del lavoratore.
Buoni pasto, cosa sono e limiti all’utilizzo
I buoni pasto sono sicuramente i più diffusi, utilizzati soprattutto dalle aziende che non hanno la mensa interna e quindi forniscono al lavoratore dipendente un buono del valore del pasto utile ad acquistare fuori dal luogo di lavoro il “pasto”. Possono essere utilizzati esclusivamente per acquistare prodotti alimentari presso esercizi commerciali che li accettano.
Possono essere distribuiti in formato cartaceo, digitale o in formato elettronico. I buoni pasto hanno delle caratteristiche peculiari, infatti, sono nominali: possono essere utilizzati solo dai lavoratori a cui sono attribuiti, inoltre hanno un valore di 4 euro se distribuiti in formato cartaceo e 8 euro se in altro formato (elettronici e digitali) .
Da queste caratteristiche ne deriva che:
- non possono essere ceduti, in teoria neanche al proprio coniuge o convivente che in teoria potrebbe anche andare al supermercato per acquistare il panino per il compagno;
- non possono essere cumulati, il limite di utilizzo è di 8 buoni pasto;
- non sono commercializzabili;
- non possono essere convertiti in denaro.
Il trattamento fiscale dei buoni pasto
Dal punto di vista fiscale i buoni spesa rappresentano un doppio vantaggio, infatti, per le imprese che li distribuiscono rappresentano un costo deducibile quindi non concorrono a determinare la base imponibile per le imposte sui redditi. Per i lavoratori non costituiscono reddito e di conseguenza il lavoratore non deve dichiararli in sede di dichiarazione. In un certo senso hanno neutralità fiscale.
Si applica, invece, l’Iva con aliquota al 4%. Anche in questo caso vi sono però delle differenze in quanto l’Iva non è detraibile per i buoni pasti cartacei, mentre nel formato elettronico o digitale l’Iva risulta detraibile.
Cos’è il buono spesa? Limiti e trattamento fiscale
Diverso è il buono spesa che in passato poteva essere considerato meno vantaggioso, ma oggi rappresenta senz’altro un’ottima alternativa.
Come il nome stesso dice, non ci sono limiti all’utilizzo dei buoni spesa, infatti, possono essere utilizzati non solo per l’acquisto di beni alimentari, ma anche per altri prodotti, beni e servizi. Ad esempio, si possono spendere per il carburante e per il tempo libero.
Non devono essere inseriti in un piano di welfare, possono, ad esempio essere utilizzati come premio di risultato. Si è visto prima che il buono pasto può avere un valore massimo, tale principio non si applica ai buoni spesa, ad esempio l’azienda può riconoscere al “dipendente X” un buono spesa di valore di 100 euro, una tantum o connesso a un determinato risultato.
La netta differenza tra i buoni pasto e il buono spesa è fiscale.
I buoni spesa rientrano tra i fringe benefit e quindi la detassazione è limitata a specifici importi.
L’articolo 51 del Tuir prevede al comma 2, lettera b, l’esenzione da tassazione per importi annui fino a 500 euro.
Questa la disciplina ordinaria, ma la legge di bilancio 2024 e ora la legge di bilancio 2025 hanno portato delle novità che però non sono strutturali. In particolare la legge di bilancio per il 2024 prevede che non debbano concorrere alla formazione del reddito i fringe benefit o buoni spesa di importo fino a:
- 1.000 euro per la generalità dei dipendenti;
- 2.000 euro per i dipendenti con figli a carico.
Ulteriori novità vi potrebbero essere nella manovra di bilancio 2025, infatti, la stessa, che ancora deve essere definitivamente approvata, prevede l’introduzione di un nuovo fringe benefit da 5.000 euro per lavoratrici e lavoratori che spostano la propria residenza di oltre 100 km per andare a lavorare. Naturalmente gli importi sono mirati a coprire le spese per l’affitto.
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