L’Italia ha vietato la produzione, la commercializzazione e la ricerca di carne coltivata. Una decisione motivata con parametri spesso anti-scientifici. Ecco le risposte alle domande più comuni.
Con 159 voti a favore, 53 no e 34 astenuti, la Camera ha approvato il disegno di legge che vieta la produzione e la commercializzazione di carne coltivata (e altri alimenti coltivati). La decisione, già di per sé importante per le conseguenze sull’industria che alleva e produce prodotti animali e derivati, è saltata in prima pagina per via degli scontri tra una delegazione di +Europa e un nutrito drappello di allevatori e agricoltori di Coldiretti.
Saranno propri i manifestanti di Coldiretti a minacciare Della Vedova e Magi, presenti sul posto con dei cartelloni che recitavano: “Coltivata l’ignoranza” - “Ddl anti-scientifico e anti-italiano”. L’aggressione, subito denunciata ai Carabinieri, appare legittimata dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che dopo la vittoria del sì va a stringere la mano al presidente della Confederazione Ettore Prandini.
È stata proprio la Coldiretti a ispirare, con un volantino anti-scientifico e manipolatorio, il ddl contro la carne coltivata. Diverse le critiche, sia da parte di Enpa (Ente nazionale di protezione animali) che definisce lo stop alla carne cruelty free “figlio di un’ideologia oscurantista”; sia da parte di Lav (Lega anti vivisezione), che ha sottolineato la natura anti-scientifica e la volontà di “proteggere chi inquina”.
Cosa significa?
La carne coltivata (non “carne sintetica” come si legge invece nel disegno di legge) è un prodotto con alla base una cellula animale, prelevata con una biopsia e poi coltivata con l’utilizzo di fattori naturali di nutrimento.
Perché non si chiama carne sintetica?
Non si può chiamare la carne coltivata “sintetica”, perché per sintesi si intende un processo chimico che parte da elementi che vengono fatti reagire per ottenere un prodotto. La carne coltivata parte invece da una sostanza prelevata dagli animali (cellule già esistenti) che vengono fatte riprodurre in maniera controllata, per farle specializzare in cellule del tessuto muscolare. Lo stesso tessuto asportato dagli animali durante la macellazione.
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Dove non è vietata?
L’Italia è l’unico Paese al mondo ad aver vietato la carne coltivata. Si è distinto, in particolare, per essere il primo Stato al mondo ad aver vietato non solo la produzione e la commercializzazione, ma persino la ricerca sul prodotto.
Oggi, al contrario dell’Italia, la carne coltivata è venduta a Singapore, può essere consumata in Israele dietro firma di una liberatoria e arriverà a breve negli Usa dove è stata approvata la vendita del pollo coltivato prodotto da due società.
Quali sono i contro?
Il disegno di legge contro la carne coltivata è stato definito “anti-scientifico”. Alla base, per quanto sia stato venduto come un tentativo di salvaguardare la tradizione culinaria italiana e la salute collettiva, c’è il timore di veder perdere terreno economico al settore alimentare, in particolare degli allevamenti e della coltivazione.
Quali sono i pro?
Il prodotto carne coltivata (non carne sintetica) è realizzato in laboratorio tramite la coltura cellulare. Un processo che non prevede lo sfruttamento e la macellazione degli animali (l’industria alimentare che uccide 150 miliardi di individui animali l’anno). Oltre al terreno della vita animale, caro agli attivisti antispecisti, ci sono diversi altri vantaggi nella produzione e commercializzazione di questo tipo di prodotto.
Il sito della Commissione europea lo scorso marzo ha pubblicato lo studio “Could cultured meat reduce environmental impact of agriculture in Europe?” che dimostra come, se tutta la carne prodotta in Ue venisse rimpiazzata con carne coltivata, diminuirebbero:
- le emissioni di gas serra del 98,8%;
- il consumo di suolo del 99,7% (tra pascoli, capannoni e coltivazione di mangime);
- il consumo di acqua del 94,7%
Sui rischi di assunzione non c’è grande differenza con la carne non coltivata (in particolar modo se si parla di carne rossa, legata all’insorgenza di tumori, come quello al colon retto). Le cellule, al contrario, sono prodotte in laboratorio e quindi in ambienti sicuri e controllati che diminuiscono il rischio di infezioni (molto comune con le carni derivate da allevamento intensivo) e quindi il bisogno di somministrazione di antibiotici (riduzione del rischio di antibiotico-resistenza).
Le differenze in gioco sono la consistenza del muscolo, perché la carne coltivata non proviene da un animale che si è mosso in natura (ma difficilmente gli animali negli allevamenti intensivi lo fanno).
Perché “no” alla carne sintetica?
Il governo italiano ha motivato il “no” alla carne coltivata per assicurare la tutela della salute umana. Il disegno di legge inoltre prevede il divieto di utilizzare denominazioni legate alla carne per prodotti trasformati a base di proteine vegetali.
La carne coltivata però, come spiegato sopra, non è altro che una carne prodotta in bioreattori che permettono la moltiplicazione cellulare in un ambiente controllato, senza un processo di sintesi chimica (da qui l’uso scorretto del termine “carne sintetica”) e senza la macellazione degli animali.
Gli errori del ddl
Il disegno di legge è invece composto da una serie di errori più o meno gravi. A partire dall’utilizzo del termine “sintetico”, fino ad accusare la carne coltivata di contenere antibiotici, che è invece collegata all’animale dal quale viene estratta la cellula. Gli antibiotici, va ricordato, sono utilizzati in grande quantità proprio negli allevamenti intensivi.
Altro punto nel quale si tocca il fondo del barile anti-scientifico è quando ddl spiega come nel corso della lavorazione vengano utilizzati “altri materiali pericolosi”, dalle impalcature su cui le cellule proliferano, alle sostanze chimiche per la disinfezione. Il passaggio non tiene conto di due realtà: 1) le impalcature sono in molti casi edibili, a base vegetale; 2) i prodotti chimici usati per la disinfezione sono specifici per il consumo, così come dovrebbe essere negli allevamenti intensivi (dove invece spesso e volentieri gli animali sono rinchiusi in gabbie sporche e ad alto rischio di contaminazione).
Altro errore del disegno di legge è richiamare l’utilizzo del “siero fetale bovino” come terreno di coltura, oggi superato.
È un prodotto processato o ultra-processato?
I detrattori della carne coltivata (meno della metà della popolazione italiana, che invece si dice interessata a provare il prodotto per il 55% e per il 78% se si calcola solo il target più giovane) definiscono tale prodotto un cibo ultra-processato. Eppure sappiamo che il cibo ultra-processato è un cibo con l’aggiunta di diversi ingredienti, farmaci e additivi. Di cibi ultra-processati ne esistono molti e sono piatti pronti e surgelati, le bevande zuccherate, tutti i prodotti tipici da fast-food e gli snack dolci e salati che troviamo nei supermercati.
Ci sono prodotti ultra-processati che mangiamo quotidianamente, ovvero tutti i prodotti che hanno in etichetta ingredienti come coloranti, stabilizzanti, aromi, esaltatori del sapore e del profumo, edulcoranti, emulsionanti e addensanti; tra questi caseine, lattosio, glutine e prodotti ricchi di zuccheri e grassi.
Esempi di cibi ultra-processati sono per esempio:
- i preparati per torte e dolci
- il cioccolato
- i cereali per la prima colazione
- le salse pronte
- lo yogurt alla frutta
- i sostituti dei pasti (i pasti pronti)
- salsicce e wurstel
- hamburger pronti
- alcolici distillati come vodka, whisky e gin.
Resta quindi il dubbio sul perché viene vietata la carne coltivata, un prodotto processato come la frutta secca, la carne essiccata, il pesce in scatola, gli sciroppi di frutta, i formaggi, il pane, i vegetali, la frutta e i legumi in scatola, ma non tutti gli altri prodotti processati e ultra-processati in vendita.
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