I lavoratori italiani che vanno a vivere in un paese straniero non sono pochi e non mancano coloro che si chiedono del destino dei contributi versati nel nostro paese. Ecco quali regole si applicano.
Poniamo il caso, di certo non infrequente, per cui un lavoratore italiano e residente nel nostro paese decida di partire per l’estero, al fine di andare a lavorare in un paese diverso da quello di origine. La domanda che in lui sorgerà spontanea è la seguente: i contributi nel frattempo versati in Italia che fine faranno? Correrò il rischio di perderli oppure ci sono regole di garanzia mirate appositamente a conservarli?
Ebbene, premettiamo subito che, in linea generale, il lavoratore di cittadinanza italiana che scelga di andare a vivere - e lavorare - all’estero, non correrà il pericolo di perdere i contributi nel frattempo versati in Italia. Le regole giuridiche vigenti mirano infatti a favorire la libera circolazione dei lavoratori.
Ma per comprendere appieno la situazione previdenziale di chi versa i contributi in due paesi diversi - quello di origine e quello di trasferimento - dovremo focalizzarci sul meccanismo della cd. totalizzazione e considerare l’importanza dei regolamenti valevoli per gli Stati UE e degli accordi internazionali di sicurezza sociale. Ecco allora di seguito i dettagli utili a capire che succede ai contributi in ipotesi di trasferimento all’estero.
Che succede ai contributi in caso di trasferimento all’estero?
- Principio di totalizzazione dei contributi in ambito UE: che cos’è e a che cosa serve
- Periodo minimo di assicurazione e contribuzione: quali contributi sono utili?
- Contributi versati in più paesi: l’importanza degli accordi internazionali di sicurezza sociale
- Convenzioni bilaterali e copertura contributiva: ulteriori precisazioni
- Un esempio pratico
- Riscatto dei periodi di lavoro compiuti all’estero
Principio di totalizzazione dei contributi in ambito UE: che cos’è e a che cosa serve
Come appena accennato, allo scopo di agevolare la libera circolazione dei lavoratori le prestazioni previdenziali (ma anche le prestazioni assistenziali) sono assicurate ai residenti di ogni paese UE grazie all’applicazione diretta dei regolamenti comunitari. Per ciò che attiene ai paesi extra UE, in tema di previdenza e assistenza sociale sono stipulate invece le convenzioni o accordi bilaterali di sicurezza sociale.
Il lavoratore è protetto perché può totalizzare i contributi, e dunque di fatto sommare i periodi assicurativi maturati in tutti gli Stati ai quali si applica la normativa dell’Unione Europea. In altre parole, nei paesi membri sussiste la facoltà del lavoratore di totalizzare i contributi non sovrapposti - a condizione di poter far valere un periodo minimo di assicurazione e contribuzione
nel paese che deve compiere il cumulo dei contributi per concedere la pensione.
Se ci si chiede qual è questo periodo minimo di contribuzione, la risposta è che:
- in riferimento ai regolamenti comunitari il lasso di tempo minimo richiesto per la totalizzazione internazionale è pari ad un anno (52 settimane);
- nel caso degli accordi e convenzioni bilaterali il periodo è invece fissato in modo differente dai singoli testi.
Così indica l’Inps nel proprio sito web, rimarcando peraltro che la totalizzazione internazionale, è prevista non soltanto nel quadro della normativa comunitaria (regolamenti UE in tema di sicurezza sociale), ma anche in quello degli accordi e convenzioni bilaterali sottoscritte dall’Italia in campo di sicurezza sociale.
Periodo minimo di assicurazione e contribuzione: quali contributi sono utili?
Ci si potrebbe anche chiedere quali tipologie di contributi rilevano al fine di perfezionare il citato requisito minimo: ebbene, è utile tutta la contribuzione accreditata, al di là della natura. Inps ha fugato ogni dubbio a riguardo ed infatti nel suo sito segnala che sono utili tutti i seguenti contributi:
- obbligatori (lavoro dipendente o autonomo);
- volontari;
- da riscatto (corso legale di laurea, attività svolta in paesi non convenzionati con l’Italia ecc.);
- figurativi (malattia, Cig, servizio militare, maternità, mobilità, disoccupazione, ecc.);
Inps nel suo sito web ribadisce anche che i periodi esteri da ’contare’ ai fini della totalizzazione internazionale non devono essere ovviamente sovrapposti - dal punto di vista temporale - ai periodi accreditati in Italia. Inoltre la normativa vale anche per le prestazioni spettanti a carico della Gestione Separata Inps.
Contributi versati in più paesi: l’importanza degli accordi internazionali di sicurezza sociale
A seguito dell’aumento della mobilità internazionale negli ultimi decenni, un numero sempre maggiore di paesi ha concluso detti accordi e, tra essi, ovviamente c’è anche l’Italia. Nel sito Inps è possibile leggere nel dettaglio i contenuti dei singoli accordi (stipulati ad es. con Argentina, Brasile, Usa, Turchia e Corea del Sud).
Si tratta di atti di diritto internazionale con cui ogni Stato si obbliga a garantire:
- parità di trattamento
- e portabilità dei diritti ai cittadini dell’altro Stato, assicurando loro gli stessi benefici previsti a favore dei propri cittadini.
Gli accordi bilaterali, a differenza dei regolamenti comunitari di cui abbiamo parlato sopra, al fine di essere operanti nell’ordinamento interno di un paese devono essere ratificati da una legge ordinaria. Ebbene, grazie ad accordi questo tipo, un lavoratore potrà contare comunque sulla totalizzazione internazionale dei contributi, senza rischiare di perdere quanto in precedenza versato per acquisire un domani il diritto alla pensione.
Convenzioni bilaterali e copertura contributiva: ulteriori precisazioni
Gli accordi internazionali di sicurezza sociale dispongono un quadro giuridico ad hoc, allo scopo di coordinare i regimi di sicurezza sociale tra i paesi e, pertanto, sono di riferimento per garantire l’accumulo dei contributi in caso di trasferimento all’estero in paesi extra UE.
In buona sostanza, detti accordi di reciprocità forniscono il contesto legale per tutelare i diritti dei lavoratori migranti e assicurano che i periodi di occupazione in altri paesi firmatari siano presi in considerazione, nel garantire il diritto alle prestazioni sociali per i lavoratori che vanno a vivere in un paese firmatario. Ciò ovviamente sulla scorta del completamento di un periodo di qualificazione tramite il versamento dei contributi.
Proprio come i regolamenti UE, gli accordi bilaterali in oggetto hanno pertanto come obiettivo:
- il mantenimento dei diritti acquisiti dal lavoratore;
- la possibilità di conseguire il versamento delle prestazioni nel Paese di residenza, anche se a carico di un differente Stato.
Soprattutto, grazie a detti accordi - come già per i regolamenti comunitari - vale il principio di totalizzazione dei periodi di assicurazione e contribuzione per il lavoro effettuato in ognuno dei due Stati convenzionati, i quali infatti si cumulano onde acquisire il diritto alla pensione.
Un esempio pratico
Vediamo adesso un sintetico esempio che ci aiuta a capire come funzionano le regole. In Italia vale il criterio minimo del versamento di almeno 20 anni di contributi per poter maturare il diritto alla pensione (requisito contributivo della pensione di vecchiaia). Ebbene, in caso di applicazione del regolamento UE tra Stati membri o di un accordo bilaterale con un paese extra UE, gli anni si sommeranno al fine di conseguire il diritto.
Perciò se un lavoratore ha svolto 12 anni di lavoro a Firenze e 8 a Madrid oppure a Buenos Aires o a New York, proprio in virtù delle norme di garanzia sulla totalizzazione internazionale, ambo i periodi contributivi concorreranno al raggiungimento dei criteri - con un evidentissimo vantaggio per il lavoratore o la lavoratrice.
Attenzione però, perché se da un lato i distinti periodi contributivi si uniscono ai fini della maturazione della pensione, dall’altro lato ciascun Stato farà ovviamente valere la propria legislazione in ambito previdenza e pensione. Pertanto, restando nell’esempio appena fatto, l’ltalia pagherà al lavoratore la pensione relativa ai 12 anni a Firenze secondo la legge italiana e l’altro paese (nell’esempio Spagna, Argentina o Usa) osserverà i propri criteri per gli 8 anni all’estero.
Riscatto dei periodi di lavoro compiuti all’estero
Che cosa succede invece se si lavora in uno stato extra Ue con cui il nostro paese non ha specifici accordi in vigore? Ebbene, come spiega Inps nel suo sito i versamenti previdenziali sono recuperabili, ma occorre procedere ad un riscatto che comporta un costo non indifferente e che può essere effettuato soltanto se al momento della richiesta l’interessato è in possesso della cittadinanza italiana (questo anche se durante i periodi di lavoro da riscattare l’interessato ha avuto la cittadinanza straniera).
Il periodo di lavoro subordinato può essere fatto oggetto di riscatto totale o parziale (per es. esclusivamente le settimane utili al perfezionamento dei requisiti per la pensione). Mentre i contributi possono essere accreditati soltanto a seguito del pagamento di un onere di riscatto e sono utili al diritto e alla misura di tutte le pensioni. Per maggiori dettagli rinviamo comunque alla pagina ad hoc del sito dell’Inps.
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