Una terra desertica o una civiltà fiorente? Ecco chi sono i palestinesi e perché oggi condividono (e perdono) il territorio con Israele.
Lo scontro aperto tra Israele e Hamas negli ultimi 10 giorni ha riacceso l’attenzione in merito alla “questione palestinese”. Non è raro infatti trovare approfondimenti sull’origine del conflitto israelo-palestinese, sulla nascita di Hamas e le dinamiche di dominio che negli ultimi 75 anni hanno ritagliato una piccolissima porzione di terra - la Striscia di Gaza - alla popolazione palestinese. Ma chi sono i palestinesi e perché nel corso del tempo hanno visto il proprio territorio cancellato, o per meglio dire occupato e inglobato da Israele?
La storia della Palestina non è molto nota e anzi vive di diversi miti e luoghi comuni. Chi non ha mai sentito, per esempio, che prima dell’insediamento degli ebrei la Palestina non era altro che un deserto? Questo è uno dei falsi miti della fondazione dello Stato di Israele, tanto radicato (simili affermazioni sono presenti persino sui libri di storia del liceo) da diventare verità assoluta per alcuni.
Con questa premessa è inutile dire che non è così, che la Palestina non era un deserto e che i palestinesi una patria l’avevano ed era anche tra le più fiorenti del Mediterraneo orientale. Per districare i nodi di confusione sulla questione palestinese, ripercorriamo in maniera non esaustiva - per un approfondimento ci sono testi specifici che si possono recuperare, come “Dieci miti su Israele” di Ilan Pappè usato come fonte in questo articolo - chi sono i palestinesi e da dove ha origine la drammatica storia di non avere una terra da chiamare casa.
Chi sono i palestinesi?
Per rispondere alla domanda “chi sono i palestinesi?” non si può evitare di parlare di terra e di storia antica, molto distante rispetto ai recenti eventi. Una risposta critica, dura e senza peli sulla lingua l’ha data però Federica Stagni, ricercatrice per la Scuola Normale Superiore e giornalista che si occupa di movimenti sociali palestinesi e israeliani.
Stagni scrive che la storia della Palestina dimostra come la colonizzazione sionista, sponsorizzata dall’élite cristiana sia stata e continui a essere motivata da un’ideologia razzista. “I palestinesi erano e sono sacrificabili in quanto arabi, appartenenti a una razza inferiore, non degna di sviluppare aspirazioni nazionali e identitarie come tutti gli altri popoli - continua nel suo preambolo Stagni - Al contrario invece gli israeliani, o per lo meno l’élite aschenazita di origine occidentale, sono considerati appartenenti a una società più evoluta e che merita di essere protetta, tutelata e salvaguardata per assicurare gli interessi strategici del resto dell’Occidente in Medio Oriente”.
Perché e come si è arrivati a tale distinzione di umano valore? Iniziamo dalla terra.
Palestina: terra di nessuno (o forse no)
Per conoscere i palestinesi bisogna conoscere la Palestina e allora cos’è quello spazio geopolitico che alcuni chiamano Israele e altri Palestina? Il Paese era conosciuto già al tempo dei romani, ne abbiamo contezza grazie alla Bibbia certo, ma la Palestina esisteva già da prima. Ai romani però si può dare il riconoscimento di aver battezzato la terra come “Palestina”.
Ilan Pappé, storico israeliano ed ebreo anti-sionista, spiega che, al tempo dei romani la Palestina era una provincia imperiale, il cui destino venne largamente determinato dalle fortune di Roma prima e di Costantinopoli poi.
In Dieci miti su Israele lo storico scrive:
Dalla metà del 7° secolo in avanti, la storia della Palestina si unì a quella del mondo arabo e di quello islamico (a eccezione di un breve intervallo nel periodo medievale durante il quale venne ceduta ai crociati). Diverse dinastie musulmane del nord, dell’est e del sud della regione aspiravano a controllarla.
Fu però il periodo degli ottomani, che restarono nella regione per quattrocento anni, quello più rilevante.
Terra prospera, non deserto: quanti erano i palestinesi
Yonatan Mendel, docente del Dipartimento di Studi sul Medio Oriente, ha ricordato come al loro arrivo nel 1517 gli ottomani trovarono una società principalmente agricola e composta per la maggior parte da musulmani sunniti, con una ristretta élite urbana che parlava arabo. Meno del 5% della popolazione era ebreo e una percentuale che andava dal 10 al 15 era cristiana.
In altre parole: la percentuale esatta di ebrei prima dell’ascesa del sionismo si aggirava tra il 2 e il 5% della popolazione. Ancora nel 1878 nei registri ottomani risultava una popolazione totale di 462 mila residenti, di cui l’87% musulmani, 10% cristiani e il 3% ebrei.
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Una storia differente: cosa dice lo Stato di Israele?
La storia però è raccontata in maniera differente dall’attuale Israele. Sul sito del ministero degli Esteri israeliano si legge che:
In seguito alla conquista ottomana del 1517 il territorio venne suddiviso in quattro distretti, assegnati al controllo amministrativo di Damasco e governati da Istanbul. All’inizio dell’era ottomana, all’incirca mille famiglie ebraiche vivevano nel paese, principalmente a Gerusalemme, Nablus (Sichem), Hebron, Gaza, Safad (Tzfat) e in alcuni villaggi della Galilea. Queste comunità erano composte dai discendenti di quegli ebrei che da sempre vivevano su quella terra insieme a immigrati provenienti dall’Europa e dal Nord Africa.
In altre parole: nel 16esimo secolo la Palestina appare abitata principalmente da ebrei.
Il ministero degli Esteri dice altro, ovvero che non c’erano foreste e che i terreni agricoli nel 18esimo secolo erano ormai deserti. Da qui il mito della Palestina come un terreno vuoto da occupare. Tale ricostruzione storica, che ha lo scopo di cancellare la casa dei palestinesi, è stata più volte contestata dagli stessi studiosi israeliani. Alcuni nomi: Amnon Cohen e Yehoshua Ben-Arieh e David Grossman (non il famoso autore, bensì il demografo). Secondo questi la Palestina non era affatto un deserto, ma una fiorente società araba, per lo più musulmana e prevalentemente rurale con alcuni vivaci centri urbani.
Pappé scrive:
Aperta al cambiamento e alla modernizzazione, la Palestina iniziò a svilupparsi come nazione molto prima dell’arrivo del movimento sionista. […] La Palestina era una parte fiorente del Bilad al-Sham (la terra dell’est), o il Levante del suo tempo. Alla vigilia dell’arrivo sionista una ricca industria agricola, piccoli centri e città storiche servivano una popolazione di mezzo milione di persone.
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Una regione fiorente e un popolo numeroso, ma allora come è stato possibile l’isolamento in una striscia di terra e altre piccole enclavi nel territorio dell’attuale Stato di Israele?
A seguito dell’accordo Sykes-Picot, firmato nel 1916 tra Gran Bretagna e Francia, le due potenze coloniali si spartirono l’area attraverso la creazione arbitraria di nuovi stati-nazione. Prima di questo nell’élite locale stava nascendo il desiderio d’indipendenza all’interno di una Siria unita (esattamente come gli Stati Uniti). A seguito della spartizione dei territori da parte occidentale però la Palestina iniziò a considerarsi uno stato arabo indipendente.
Nel 1923 vennero ridisegnati i confini e se la Palestina era meglio delineata, non lo era la popolazione. A chi apparteneva: ai nativi palestinesi o ai nuovi coloni ebrei? Presero avvio violenti scontri etnici. Fu però il 1948, post Seconda guerra mondiale e post Olocausto, che solcò la crepa ancora non chiusa sul territorio palestinese.
La “risoluzione 181”, che prevedeva la ripartizione dei territori tra ebrei e palestinesi, venne accettata dal presidente dell’Organizzazione sionista mondiale David Ben Gurion (poi primo ministro israeliano) e rifiutata dai palestinesi. Questi infatti non accettavano che il loro territorio dovesse accogliere lo Stato di Israele (56% della Palestina).
Nel corso del tempo lo spazio occupato da Israele continuò a crescere. Alla fine della guerra con gli stati arabi solidali alla causa palestinese (Egitto, Iraq, Giordania e Siria) nel 1949 Israele controllava il 72% del territorio. I palestinesi che abitavano i territori conquistati furono costretti a lasciare le case e a farsi profughi nella propria terra e fuori. In questi giorni si è tornato a utilizzare il termine con il quale è stata descritta la prima catastrofe, ovvero “nakba”.
Diverse Intifada (manifestazioni e boicottaggi repressi con la violenza dell’esercito israeliano) dopo e con alle spalle 40 anni di occupazione, Israele si ritirò dalla Striscia di Gaza. Oggi la Striscia di Gaza resta circondata via terra, mare e aria dall’esercito israeliano, che controlla anche luce, acqua e cibo da somministrare alla popolazione palestinese residente. Per questo è spesso definita una prigione a cielo aperto e per questo i palestinesi sono un popolo senza uno Stato in casa loro.
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