Cos’è la sharing economy e come funziona l’economia condivisa

Violetta Silvestri

25 Novembre 2024 - 12:33

Sharing economy: cosa significa e come funziona? Come nasce l’economia condivisa, i suoi obiettivi e le sfide da affrontare.

Cos’è la sharing economy e come funziona l’economia condivisa

La sharing economy, economia condivisa in italiano, è un fenomeno ormai radicato nella società e che ha nel tempo rivoluzionato il modo di concepire la vendita e l’uso di beni e servizi.

Per renderci conto di quanto siano diffuse nel tessuto sociale odierno la cultura e la pratica della sharing economy - che si basa proprio su valori specifici e opposti al tradizionale modo di concepire il possesso e la vendita di beni - basta riflettere su alcune abitudini quotidiane: se sto usando una bici in città con il servizio di bike sharing o se utilizzo uno spazio di coworking per lavorare sto beneficiando dell’economia condivisa.

Cos’è, quindi, la sharing economy nello specifico e come funziona? La definizione di economia condivisa, gli esempi e gli obiettivi.

Cos’è la sharing economy: significato e definizione

Secondo la definizione di Treccani, con sharing economy si intende:

Economia collaborativa, che consiste nella condivisione delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi, soprattutto tramite l’uso di piattaforme digitali.

Un significato di sharing economy simile è offerto dal Cambridge Dictionary:

un sistema economico basato sulla condivisione di beni e servizi tra persone, gratuitamente o a pagamento, solitamente utilizzando Internet

In sintesi, con economia della condivisione ci si riferisce a un concetto nuovo e diverso da quello del business tradizionale - fondato sulla concezione di vendita di beni e servizi di cui si ha possesso - e del consumo come lo intendiamo di solito. Per esercitare la sharing economy, infatti, è necessario:

  • mettere a disposizione degli altri beni o servizi che sono sotto-utilizzati;
  • favorire l’accesso a un bene o servizio a cittadini della stessa comunità;
  • facilitare un risparmio di tipo economico nell’uso di quei beni e servizi;
  • fare in modo che un bene non diventi proprietà a uso esclusivo di un altro, ma sia disponibile per un utilizzo constante e di più persone

Come spiegato dalla letteratura e da studi che hanno negli anni seguito l’evoluzione della sharing economy, con essa di passa dal concetto di possesso a quello di accesso.

Gli esempi ormai da manuale per spiegare l’economia condivisa sono quelli di Uber e di Airbnb, nati entrambi dall’idea proprio di condividere un’auto con più persone (senza sprecare quindi i posti vuoti) o una casa vuota per chi cerca affitti brevi attraverso l’offerta di semplici cittadini privati.

La sharing economy, quindi, è tale perché si crea uno scambio peer-to-peer. Rispetto al modello capitalistico, gli individui interagiscono per comprare o vendere beni e servizi direttamente l’uno con l’altro, senza intermediazione di una terza parte, o senza l’uso di un’azienda.

Il suo sviluppo così capillare come quello attuale, inoltre, è stato possibile grazie all’evoluzione di Internet. Un’altra peculiarità dell’economia condivisa, infatti, è proprio l’uso diffuso di piattaforme digitali attraverso le quali condividere un’enorme quantità di beni e servizi tra pari e in tempo reale.

Come funziona la sharing economy

La sharing economy funziona con questo meccanismo di base: un prodotto o un servizio che sarebbero poco utilizzati vengono messi a disposizione degli altri e in questo modo riacquistano valore.

In sostanza con l’economia condivisa non si compra un bene che passa di proprietà, ma si beneficia di un oggetto (per esempio una macchina, una bicicletta, un appartamento o una sola stanza) per il tempo necessario. Poi, lo si lascia a disposizione di altri.

Le piattaforme digitali consentono una condivisione pratica, veloce, facile da utilizzare per qualsiasi tipo di utente. In pratica, un sito web o una app dedicate al servizio o al prodotto condiviso fungono da intermediario tra chi concede il bene o chi ne usufruisce.

Per esempio, collegandomi al sito di Airbnb posso direttamente accedere alle case messe online dai proprietari. Non c’è un’azienda che i vende il servizio.

Ovviamente, anche la sharing economy è un “motore” finanziario: servizi e beni condivisi possono essere a pagamento, ma consentono agli utenti di risparmiare.

Quali sono le tipologie di sharing economy?

Nata principalmente nel settore della mobilità, con l’esperimento della francese Blablacar considerato pioniere nel settore, negli anni l’economia condivisa si è ampliata in diversi ambiti.

Oggi possiamo individuare varie tipologie di questo fenomeno economico e tra queste:

  • sharing mobility: condivisione di mezzi di trasporto per la mobilità urbana;
  • home sharing: condivisione di una casa non utilizzata, con stanze da affittare per alloggi brevi;
  • coworking: condivisione di un unico spazio per lavoratori che affittano una postazione ufficio:
  • vendita/scambio oggetti: piattaforme online nelle quali vendere o scambiare oggetti di ogni tipo;
  • food sharing: ridistribuzione di cibo in eccesso che andrebbe buttato

Questi elencati sono soltanto alcuni tipi di sharing economy conosciute e seguite dalla società. Tuttavia, l’economia condivisa ha talmente esteso il suo campo di azione che si possono trovare oggi molti altri esempi di questa rivoluzione del consumo e dell’uso di beni, servizi, risorse.

In ambito urbano non è così raro trovare uno spazio fisico usato da più persone che se ne occupano e possono condividerne i frutti: sono gli orti condivisi. Oppure, esistono piattaforme online dove poter mettere a disposizione la propria professionalità (es. idraulici, copywriter, vvocati, medici...) direttamente agli utenti.

Obiettivi e sfide dell’economia di condivisione

La sharing economy è nata e si è sviluppata nel tempo con obiettivi specifici:

  • favorire il consumo più consapevole;
  • incentivare la razionalizzazione nell’uso di oggetti e servizi;
  • aumentare la sostenibilità ambientale;
  • fare rete tra le persone

Non solo. Attraverso le tante buone pratiche di economia condivisa gli utenti riescono a risparmiare denaro e chi offre beni o servizi può ottenere una fonte di guadagno. Il tutto, senza ripercorrere il tradizionale schema di business vendita/acquisto che di fatto consiste nel passaggio di proprietà di un oggetto tramite il pagamento. Qui, invece, c’è la facilitazione di accesso a beni o servizi, senza che nessuno se ne appropri pagando.

Il vero e proprio boom della sharing economy ha però evidenziato anche sfide aperte e tutte da affrontare. Per capire di che tipo di fenomeno stiamo parlando basta accendere un faro sui numeri.

A livello mondiale, stando ai dati di Statista, si prevede che il valore totale dell’economia condivisa globale aumenterà a 794 miliardi di dollari USA entro il 2031, rispetto ai 150 miliardi di dollari USA del 2023. Ciò si è tradotto in un tasso di crescita annuale composto di circa il 32%.

In sostanza, l’economia condivisa oggi esiste in molti settori, spesso con start up che gestiscono piattaforme divenute capillari e redditizie. Le aziende dell’economia della condivisione, però, spesso sfuggono alle normative del settore.

I due esempi più comuni in questo senso sono la condivisione di veicoli privati ​​tramite app come Uber e Airbnb, che ha lasciato il segno a livello globale. Gli affitti brevi stanno oggi impattando su tutto il mercato immobiliare, rivoluzionando la fisionomia delle città e ostacolando la ricerca di una prima casa.

Allo stesso tempo regole su assicurazione, tutele dei lavoratori, trasparenza, garanzia di privacy sono più che mai necessarie. La grande sfida, quindi, è quella di creare una rete normativa di un fenomeno ormai inarrestabile e sempre più protagonista dell’economia globale.

Esempi di sharing economy

Abbiamo già accennato che tra gli esempi di sharing economy più apprezzati tra il pubblico ci sono quelli di mobilità condivisa. Ma non sono i soli che si sono sviluppati e affermati negli anni.

D seguito, le piattaforme e app che hanno segnato la storia - e continuano a farlo - dell’economia condivisa.

Blablacar

Blablacar nasce in Francia nel 2013 sull’intuizione di tre giovani che avevano notato quante persone viaggiassero in macchina da sole, sprecando posti vuoti che potevano essere condivisi per percorrerre lo stesso tratto di strada.

D questa semplice idea è nata la piattaforma che oggi è leader mondiale nel settore, offrendo mezzi per viaggiare in 22 Paesi del mondo e con un’infinita rete di tratte, anche in autobus.

Uber

L’idea della piattaforma Uber nasce negli Usa e lo scopo è mettere direttamente in contatto autisti e passeggeri per il trasporto in macchina.

Difronte a problemi nel trovare un taxi disponibile in giornate particolarmente affollate, il servizio di prenotazione di un’auto Uber, lanciato attraverso una app comodamente gestibile da smartphone ha rivoluzionato il servizio di trasporto.

Oggi Uber è presente in tutto il mondo e anche in Italia, dove però il braccio di ferro legale tra l’azienda e il Governo continua. Una riforma sul servizio di conducenti a chiamata, che coinvolge anche Uber, è nel mirino della app.

Aribnb

Aibnb è il celebre sito online per mettere in contatto chi cerca un alloggio per un affitto breve e chi offre una casa o una stanza per questo scopo.

Fondata nel 2007, oggi l’azienda è addirittura quotata in Borsa, a testimonianza di una capillare diffusione in tutto il mondo. Oggi l’attività di noleggio case gestita da Airbnb è tra le principali indiziate nel processo alla turistificazione di interi quartieri cittadini, oltre a essere additata di un uso selvaggio di alloggi per affitti brevi che sta sconvolgendo l’intero settore immobiliare.

WeWork

Il colosso del coworking è nato nel 2010 con l’obiettivo di rivoluzionare l’idea di spazio del lavoro e, quindi, del modo stesso di lavorare.

Creando aree condivise da adibire a uffici per professionisti di ogni genere, si è espansa nel mondo con l’idea di noleggiare postazioni in uffici condivisi.

Tuttavia, la storia di WeWork è controversa. Nel 2023 ha dichiarato bancarotta, complice anche il post-Covid che ha accentuato il lavoro da remoto e diminuito l’esigenza di spostarsi in un ufficio. Oggi la rete di coworking sta riorganizzando il suo assetto, anche in Italia.

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