Che cosa si intende per “manuale Cencelli”? Vediamo il significato di questa espressione che nella politica italiana viene tirata in ballo quando si parla di incarichi di governo.
Difficilmente si può spiegare cos’è stata, e cosa è tuttora, la politica italiana senza parlare del “manuale Cenecelli”, l’espressione giornalistica che da oltre mezzo secolo viene tirata in ballo quando c’è da parlare non solo dei rapporti tra i partiti di governo, ma anche delle dinamiche interne alle varie forze politiche.
Senza correre un particolare pericolo di essere smentiti, si può arrivare a dire che niente meglio del manuale Cencelli possa descrivere in qualche modo quella che è stata la politica in Italia durante gli anni della prima Repubblica.
Anche se adesso i meccanismi appaiono meno scientifici, questo modus operandi tutto nostrano è sopravvissuto anche in questa seconda Repubblica tanto da essere rievocato, con senso dispregiativo, ogni volta che c’è da formare un nuovo governo oppure si entra nel periodo delle nomine delle partecipate pubbliche.
Ma cosa si intende con il termine “manuale Cencelli”? Vediamo da cosa deriva questa espressione e perché, anche al giorno d’oggi, è indicato come una sorta di meccanismo molto diffuso nella politica italiana.
Che cos’era il manuale Cencelli
Quando si parla di manuale Cencelli spesso i fatti e le dichiarazioni si intrecciano con alcuni retroscena che hanno i contorni quasi della leggenda. Per prima cosa è bene spiegare da cosa deriva questa espressione.
La “colpa” è tutta di Massimiliano Cencelli. Romano classe 1936, figlio dell’autista personale di Pio XII, fino al 1967 il suo nome era pressoché sconosciuto a tutti: ex sindaco di Caldarola, piccolo paese in provincia di Macerata, con una carriera politica tutta svolta come funzionario della Democrazia cristiana.
Massimiliano Cencelli faceva parte della segreteria del democristiano Adolfo Sarti, cinque volte ministro e uno dei capofila della corrente dei “pontieri” di cui facevano parte anche Francesco Cossiga e Paolo Emilio Taviani.
Quando nel 1981 sono stati pubblicati i nomi degli appartenenti alla P2, sia Cencelli sia Sarti sono risultati iscritti alla loggia massonica. All’epoca il nome del funzionario della Dc però era già ben noto per altri motivi.
Nel 1967 la politica italiana era nel mezzo tra il secondo governo Moro e il secondo governo Leone. Al congresso della Democrazia cristiana la corrente dei “pontieri” prese il 12% e così Massimiliano Cencelli realizzò il suo celebre manuale.
Così lo stesso Cencelli in una intervista ad Avvenire del 2003 ha provato a spiegare in cosa sussisteva il suo manuale:
Nel 1967 Sarti, con Cossiga e Taviani, fondò al congresso di Milano la corrente dei ‘pontieri’, cosiddetta perché doveva fare da ponte fra maggioranza e sinistra. Ottenemmo il 12% e c’era da decidere gli incarichi in direzione. Allora io proposi: se abbiamo il 12%, come nel consiglio di amministrazione di una società gli incarichi vengono divisi in base alle azioni possedute, lo stesso deve avvenire per gli incarichi di partito e di governo in base alle tessere. Sarti mi disse di lavorarci su. In quel modo Taviani mantenne l’Interno, Gaspari fu Sottosegretario alle Poste, Cossiga alla Difesa, Sarti al Turismo e spettacolo.
Una teoria che è stata messa anche nero su bianco, con tanto di certosini calcoli per stabilire come andavano divisi gli incarichi non solo all’interno del partito, ma anche nella formazione dei vari governi.
In sostanza per manuale Cencelli, di cui si narra esistano anche otto copie cartacee realizzate tramite carta carbone, si intende una precisa spartizione di incarichi e ruoli senza che alla base ci sia alcun principio di meritocrazia.
La sua applicazione nella politica italiana
Il manuale Cencelli è stato un tale successo tanto da essere stato adoperato a lungo durante la prima Repubblica nella formazione dei governi e delle segreterie di partito. Il principio base che sta alla base di questa logica di spartizione degli incarichi si può dire che sia sopravvissuta anche in questa seconda Repubblica.
La sua applicazione seguiva delle regole ferree. I posti di governo erano divisi in “grossissimi”, “grossi”, “piccoli”, e “senza portafogli”. Da qui il celebre retroscena che stando al manuale un ministro valesse due sottosegretari e mezzo.
In base al peso delle varie correnti, dominate dai vari ras locali e dai recordman delle tessere, gli incarichi di governo venivano divisi in maniera proporzionale tra i vari cespugli. In più c’era la regola non scritta che il presidente del Consiglio uscente ottenesse un ministero di peso.
Così una corrente che aveva ottenuto un ministero “grossissimo” si doveva “accontentare” poi di due sottosegretari. Un’altra corrente che invece si era vista assegnare un dicastero minore poteva contare poi su un numero maggiore di sottosegretari.
Una spartizione matematica degli incarichi in barba a qualsiasi regola meritocratica, con il manuale Cencelli che può essere definito come l’emblema del modo di fare politica in Italia dal 1967 a oggi.
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