Russia preoccupata di un potenziale scenario di prezzi del petrolio in calo: perché può essere uno shock per Mosca?
Secondo indiscrezioni riportate da Reuters, Mosca è in allarme sul prezzo del petrolio.
La banca centrale russa ha avvertito i decisori politici del Cremlino che gli Stati Uniti e l’OPEC hanno la capacità di inondare il mercato di greggio e provocare una ripetizione del prolungato crollo dei prezzi degli anni ’80, che ha contribuito alla caduta dell’Unione Sovietica.
La previsione è stata presentata in un documento per un dibattito presieduto dal primo ministro Mikhail Mishustin a febbraio scorso, visionato da Reuters. La banca centrale, che esamina i rischi economici in rapporti specifici, non ha chiarito in quale scenario l’OPEC e gli Stati Uniti potrebbero inondare il mercato né quanto siano probabili tali rischi.
Nei suoi precedenti rapporti, visionati sempre da Reuters, la banca centrale aveva però citato i prezzi del petrolio come fattori chiave - e di rischio - per l’economia russa, ma non era mai stata così specifica su come avrebbe potuto verificarsi un ciclo prolungato di bassi prezzi del petrolio.
Il contesto nel quale leggere queste stime è assai complesso per Mosca. Nonostante i tentativi di dialogo e incontri, la guerra in Ucraina continua con esiti sempre più incerti. Trump ha avvertito che potrebbe imporre ulteriori sanzioni alla Russia se non ci fosse un accordo di pace e ha anche promesso una maggiore produzione di petrolio statunitense, chiedendo al leader del cartello, l’Arabia Saudita, di pompare più petrolio per aiutare l’economia globale.
L’oro nero è da sempre una fonte di entrate rilevante per le casse di Mosca. Ora che tutto il mercato petrolifero è stato rivoluzionato dalla guerra in Ucraina, il greggio è osservato speciale più che mai dalla Russia.
Il prezzo del petrolio è un problema per la Russia, cosa teme Mosca?
Non vi è alcun segnale realistico oggi che l’OPEC stia pianificando un cambiamento nella politica di fornitura che porterebbe a un forte aumento della produzione.
Anche se gli Stati Uniti potrebbero far crescere la loro produzione di petrolio, la “parte del leone” degli aumenti verrà probabilmente dai non-OPEC come Guyana, Brasile e Kazakistan. Tuttavia, lo scenario di un mercato pieno di greggio e con quotazioni al ribasso è preso in considerazione da Mosca, con timore.
Per la Russia, secondo maggiore esportatore al mondo di queste vitali materie prime, il petrolio e il gas hanno rappresentato sia il punto di forza che quello di debolezza da quando, nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, i sovietici scoprirono uno dei bacini di idrocarburi più grandi del mondo nella Siberia occidentale.
Per decenni, gli alti prezzi del petrolio hanno consentito al Cremlino di sostenere l’economia e di investire in campagne politiche all’estero, come quelle di sostegno ai governi di Cuba, Angola e Vietnam.
Quando i prezzi crollarono, l’economia andò a rotoli, con conseguenze geopolitiche rilevanti, come nel 1991, quando si sfaldò l’Unione Sovietica.
L’analisi di Reuters è così esposta: il crollo del prezzo del petrolio degli anni ’80 rese impossibile per l’Unione Sovietica tenere il passo con gli Stati Uniti nella corsa agli armamenti. I problemi finanziari si aggravarono e portarono alla fine dell’URSS.
Attualmente il prezzo del petrolio si aggira intorno ai 70 dollari al barile, un livello confortevole per la Russia, il cui bilancio prevede un prezzo del petrolio di 69,7 dollari al barile.
Igor Yushkov, professore presso l’Università finanziaria del governo russo, ha affermato che la banca è preoccupata a causa dei bassi prezzi del petrolio e del rublo forte.
“Probabilmente il bilancio non sta andando bene, perché siamo già alla fine di marzo e non stiamo rispettando i parametri di bilancio previsti per il 2025”, ha sottolineato.
Shock petrolifero in arrivo? Russia sotto la minaccia della storia
Mosca ha vissuto diversi shock finanziari a causa dei bassi prezzi del petrolio dal 1991. Nel 1998, è diventata insolvente sul suo debito estero dopo che i prezzi sono scesi a 10 dollari al barile.
Nel 2008, Mosca dovette ricorrere ai suoi ammortizzatori fiscali e di riserva per stabilizzare l’economia e contenere la disoccupazione, dopo che i prezzi del petrolio crollarono a causa dei problemi dei mutui subprime statunitensi.
L’oro nero ha subito un drastico calo negli ultimi 15 anni, anche durante la pandemia di coronavirus, ma la natura a breve termine del ribasso non ha messo a dura prova la resilienza del Cremlino.
Putin ha parlato all’inizio di questo mese con l’influente principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e ha sottolineato “l’importanza” dell’accordo OPEC+ per la stabilità del mercato petrolifero globale.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia stima che la capacità produttiva inutilizzata totale dell’OPEC, ovvero la produzione inutilizzata che può essere rimessa in produzione, si aggiri intorno ai 5,3 milioni di barili al giorno, una cifra vicina alle esportazioni russe di petrolio e carburante.
L’Arabia Saudita ha affermato di essere in grado di aumentare la produzione dagli attuali 9 milioni di barili al giorno alla capacità massima di 12 milioni di barili al giorno nel giro di pochi mesi. Produrre e vendere più greggio può essere una spinta alle entrate, ma con maggiori quantità di petrolio sul mercato i prezzi si abbassano soprattutto con una domanda così incerta come quella attuale. Dietro l’altalena delle quotazioni si nascondono diverse insidie per Mosca.
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