L’industria cinese dei videogame sta tentando di raggiungere il livello delle sue controparti giapponesi e occidentali: ecco come e perché.
Manifattura, dispositivi tecnologici come smartphone e tablet, pannelli solari e, di recente, automobili elettriche: questi sono soltanto alcuni dei recenti settori economici che la Cina è riuscita a dominare. Pechino potrebbe tuttavia presto aggiungere un nuovo campo d’azione al suo già fin qui nutrito curriculum. Stiamo parlando di un ambito particolare, quello dei videogame, che strizza l’occhio al soft power e che necessita di tanta creatività. E sul quale il Dragone ha dato la sensazione di voler puntare al più presto.
La riprova, se così vogliamo chiamarla, è arrivata con l’uscita di Black Myth: Wukong, un videogioco made in China in cui i giocatori controllano il re scimmia Sun Wukong, il protagonista del romanzo cinese del XVI secolo «Viaggio in Occidente». Il successo di questo titolo è stato strabiliante, visto che avrebbe venduto 18 milioni di copie in appena due settimane dalla sua messa in commercio (se non è un record poco ci manca).
Il cervello che ha prodotto Black Myth si chiama Game Science, uno sviluppatore di videogiochi con sede ad Hangzhou formato da una trentina di persone, per lo più ex dipendenti del conglomerato tecnologico cinese Tencent (la cui divisione gaming è nota per sfornare giochi free-to-play per dispositivi mobili con microtransazioni in-game). [...]
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