Meno tasse per chi ha più figli con il quoziente familiare, a discapito dell’occupazione femminile. Ecco come cambia l’Irpef e anche la società con la proposta del governo Meloni.
Cosa vuol dire introdurre il quoziente familiare nella tassazione Irpef? Se ne parla perché è stata la presidente del Consiglio Meloni a dire che una riforma del fisco è necessaria, e per abbassare la pressione fiscale (cioè, le tasse e le imposte) uno degli interventi previsti dal suo governo prevede l’introduzione del quoziente familiare.
Di base, si tratta di un sistema per tassare i cittadini tenendo conto del «carico familiare», cioè dei figli, secondo un meccanismo che potremmo semplificare con la formula «più figli hai e meno tasse paghi». Se da un lato è evidente che una riforma fiscale sia più che necessaria (iniziata a gennaio 2022 con la scorsa legge di Bilancio, che ha segnato il passaggio da cinque a quattro aliquote e scaglioni Irpef), è anche vero che una struttura del genere ha due enormi conseguenze: il lavoro femminile viene disincentivato e si avvantaggiano solo i redditi più alti.
Irpef più bassa col quoziente familiare: meno tasse per chi ha più figli
A fare il punto sulle discriminazioni che il sistema di tassazione col quoziente familiare metterebbe in atto ci pensa Alessandro Santoro, docente di Scienza delle Finanze all’Università la Bicocca di Milano ed ex consigliere del ministero dell’Economia durante il governo Draghi in un’intervista al Corriere della Sera.
Da un lato, il quoziente familiare eviterebbe discriminazioni fiscali, cioè: se due persone, una single e una con figli, venissero tassate nello stesso modo (senza tenere conto dei carichi familiari, quindi dei figli) a parità di guadagni, è evidente che ci sarebbe una disparità di trattamento.
Tuttavia, Santoro sottolinea che ci sono degli svantaggi, come la disincentivazione dell’occupazione femminile. Ricordiamoci che la stragrande maggioranza delle donne guadagna meno dei propri mariti/compagni. Con il quoziente familiare in pratica si fa una media dei due redditi e li si tassa con la stessa aliquota. Quindi: il marito/compagno con i redditi più alti viene tassato con un’aliquota più bassa di quella che gli toccherebbe se fosse single, mentre la donna (che guadagna meno, o è costretta a lavorare part-time) verrebbe tassata con un’aliquota più alta di quanto le spetterebbe se fosse single.
Quoziente familiare e occupazione femminile: un po’ di dati
Secondo il Bilancio di genere 2020 per il mercato del lavoro, il tasso di occupazione femminile è al 49%, in riduzione per la prima volta dal 2013, principalmente per le più giovani e le residenti al Sud e nelle Isole. Il divario tra tasso di occupazione femminile e maschile in Italia è in lieve aumento arrivando a 18,2 punti percentuali. Nella UE, le donne occupate sono il 62,7%, mentre il divario di genere nell’occupazione è pari a 10,1 punti percentuali.
Per quanto riguarda il lavoro part-time, per il 60% delle lavoratrici è una condizione subita e non una scelta. Il part-time involontario, insieme alla maggiore incidenza di lavori con bassa paga (12,1% nel 2020), contribuisce a peggiorare i
livelli retributivi delle donne. Inoltre, si legge nel documento, aumentano le donne occupate sovraistruite rispetto al proprio impiego e persiste la segmentazione orizzontale del mercato del lavoro.
Il ricorso allo smart working (termine che viene usato solo in Italia perché nel resto del mondo si chiama «remote working») durante i mesi della pandemia ha comportato soprattutto per le donne un aggravio dei carichi di cura familiare e domestica, specialmente nei periodi in cui le scuole e i servizi per l’infanzia non hanno potuto garantire la loro piena attività. Nel 2020, secondo stime Istat, l’asimmetria del carico di lavoro nelle coppie è meno marcata rispetto agli anni precedenti, ma penalizza ancora le donne, in particolare nel Mezzogiorno.
Chi viene avvantaggiato dal quoziente familiare?
La conclusione di Santoro, quindi, è che con la struttura del quoziente familiare proposta verrebbero avvantaggiate le famiglie in cui uno dei due genitori ha un reddito molto alto e in cui l’altra persona non lavora.
Il risultato prevedibile è quello che abbiamo già visto durante la pandemia: la donna, che comunque guadagna meno, «sceglierebbe» di smettere di lavorare o di ridurre le ore di lavoro per risparmiare sulla baby-sitter, mentre l’uomo potrebbe fare qualche straordinario in più. Conti alla mano, sarebbe la soluzione che converrebbe di più dal punto di vista fiscale, non di certo da quello sociale e culturale.
Nel suo discorso alla Camera del 25 ottobre Meloni ha detto:
“Un nostro impegno, preso anche in campagna elettorale, quello di aumentare gli importi dell’assegno unico universale e aiutare le giovani coppie a ottenere un mutuo per la prima casa, lavorando progressivamente anche per l’introduzione del quoziente familiare e, visto che i progetti familiari vanno di pari passo con il lavoro, vogliamo incentivare in ogni modo l’occupazione femminile, premiando quelle aziende che adottano politiche che offrono soluzioni efficaci per conciliare i tempi casa-lavoro e sostenendo i comuni per garantire asili nido gratuiti e aperti fino all’orario di chiusura dei negozi e degli uffici.”
Lo strumento per sostenere chi ha figli già c’è: si chiama assegno unico e potrebbe di certo essere potenziato. Quello che invece manca è una politica effettiva di sostegno all’occupazione femminile, elemento che va in contrasto con l’applicazione del quoziente familiare.
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