Perché l’inflazione rischia di rimanere al di sopra del 2% a lungo e di rendere complicato il compito delle banche centrali? Un’analisi sulla volatilità dei prezzi.
L’inflazione sta rallentando, ma i prezzi al consumo nelle principali potenze mondiali potrebbero restare ancora per molto su livelli elevati (o comunque oltre il target del 2% di BCE e Fed).
Il grande rischio, forse sottovalutato, è infatti la volatilità che rende anche il compito delle banche centrali più difficile. E, secondo alcuni analisti, anche meno credibile.
In un articolo dell’Economist emerge proprio questo tema: l’inflazione rimane un problema complesso e diversi fattori possono ancora spingerla in alto. Le buone notizie al riguardo, ovviamente, non mancano.
Nella maggior parte dei Paesi ricchi l’inflazione core annua, che esclude la volatilità dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia, è scesa da picchi del 5-8% a un più tollerabile 3-5%. A dispetto degli economisti pessimisti, non si è verificata alcuna crisi economica di accompagnamento. La crescita varia dal boom (America), al buono (Australia, Canada, Giappone) al tiepido (Gran Bretagna, Eurozona), ma da nessuna parte è crollata. A differenza della disinflazione degli anni ‘80, la disoccupazione è rimasta bassa.
In questo quadro così dipinto dall’Economist c’è però ancora spazio per temere un’inflazione persistente e volatile.
Perché l’inflazione è ancora un problema (non risolto)
Bce e Fed si apprestano a tagliare i tassi di interesse dopo aumenti record per raffreddare l’inflazione salita su livelli massimi. Il mese di giugno è indicato da entrambe le banche centrali come il più adatto a un allentamento della politica monetaria. I dubbi, però, non mancano e i motivi sono legati proprio all’andamento - ancora volatile - dell’inflazione oltre che ai dati macro su crescita e lavoro.
Come indicato dall’Economist, i prezzi al consumo sono ancora sopra i target. In Europa è probabile che scenda ulteriormente, ma solo perché l’economia è debole. Negli Usa la riduzione dell’inflazione all’obiettivo del 2% della Fed è ostacolata dall’attuale tasso di crescita economica, che è in parte alimentata da un deficit pubblico insostenibile.
Inoltre, i consumatori continuano ad avvertire il pericolo dell’inflazione rispetto a prima della pandemia. Alcuni sondaggi mostrano un aumento delle aspettative di inflazione a lungo termine. I mercati finanziari in America e in Gran Bretagna chiedono un po’ di più per la protezione dall’inflazione a lungo termine rispetto a prima.
Le previsioni sull’inflazione futura sono diventate più dispersive, il che significa che sempre più persone dubitano che gli obiettivi sul calo dei prezzi verranno raggiunti. “In altre parole, la credibilità delle banche centrali appare fragile”, suggerisce l’Economist.
I motivi per temere un’inflazione incerta e tendente al rialzo non mancano. Le tensioni geopolitiche, le guerre commerciali, il cambiamento climatico e la predilezione dei governi per gli stimoli fiscali renderanno l’inflazione più volatile di quanto non fosse nei decenni successivi agli anni ’80.
Il timore, in sostanza, è che le banche centrali riescano a impattare con meno forza di quanto si creda dinanzi a tanti fattori motori dell’inflazione. La volatilità è qui per restare? Se si osservano le crisi geopolitiche, le minacce tariffarie protezionistiche di Trump, gli eventi meteorologici estremi che colpiscono con frequenza i raccolti, le tensioni commerciali Ovest-Est non si può che prevedere un’inflazione non completamente domabile.
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