Matura sempre più stanchezza nei confronti dei social media e della rete. Siamo davvero giunti al capolinea? Cosa ci aspetta dopo? Ne abbiamo parlato con Mario Moroni.
C’era una volta il sogno di un posto libero e democratico dove chiunque poteva esprimersi e trarre arricchimento personale e professionale attraverso la condivisione del sapere e il confronto con l’altro. Questo luogo immenso e senza confini che non temeva fusi orari, razzismo e che connetteva l’umanità agli antipodi (altro che le attuali politiche di diversity & inclusion) ci ha regalato l’illusione che ciascuno di noi potesse vivere il proprio momento di gloria ben oltre i famosi 15 minuti di Andy Warhol, ma soprattutto che ci rendesse liberi. Liberi di fare, di dire, di agire e di diventare.
Liberi di evolverci e di rafforzare il senso di fratellanza cosmica verso i nostri simili. Quel bellissimo sogno che, ripetiamo, sottendeva la democratizzazione della conoscenza ha partorito progetti che ci potessero far sentire ancora più vicini agli altri grazie alla connessione e alla vicinanza virtuale con le persone della nostra vita. Vi suona familiare, vero? Quel sogno o meglio quella meravigliosa chimera illusoria di libertà si chiamava web e i suoi figli social network ed è divenuto realtà ma con dei risvolti totalmente diversi rispetto alle promesse iniziali.
Quasi un incubo che, però è parte integrante della nostra vita e del nostro PIL visto che le previsioni al 2026 portano solamente in Italia il mercato della digital economy a sfiorare i 90 miliardi di euro, come si legge sull’ultimo report di Anitec-Assinform. Mica peanuts come dicono quelli bravi! Tale premessa è assolutamente necessaria per approcciare al meglio La fine dei social. E dopo che succede? il nuovo libro di Mario Moroni, autoprodotto e frutto delle trasmissioni e dei confronti del famoso podcaster e presentatore che ci provoca con un titolo e una domanda a effetto e ci obbliga a pensare.
Restando nella dimensione dei social il primo grande passaggio su cui riflettere è stata l’evoluzione che gli stessi hanno avuto, passando da network a media. Che sarà mai, direte voi? E’ solo una definizione differente, il senso non cambia, continuano a servire la causa per cui sono nati e per la quale noi li abbiamo accettati e incensati,
In realtà attraverso questo passaggio avvenuto già da qualche anno si sono movimentati miliardi di dollari sotto forma di pubblicità che abbiamo ingurgitato nel nostro incessante scrolling oltre ad aver ingrassato per bene gli algoritmi attraverso una materia prima e preziosissima: noi stessi. Sono parte anche io di questo meccanismo e non me ne sottraggo ma voglio unirmi al coro di chi oggi sente la necessità di mettere un freno e di ridisegnare sacrosanti confini tra virtuale e reale, liberando un poco le nostri sinapsi da quella dipendenza di cui il digitale ci ha reso schiavi.
L’effetto gabbia delle tiny-house
Sono molteplici le considerazioni che l’autore porta al nostro cospetto e ce n’è soprattutto una che mi ha colpito e porto alla vostra attenzione e che sintetizzo brutalmente nel rischio di involuzione del genere umano. Abbiamo fatto tanto per “scendere dall’albero”, progredire, imparare a convivere (guerre a parte, ovviamente, ma questa è un’altra storia), creare bellezza e conoscenza attraverso le arti, la filosofia, l’ingegneria e anche la tecnologia e ci ritroviamo nel 2024 più soli, depressi, bulimici e superficiali che mai.
Viviamo in case sempre più piccole, soffocanti quasi, ma che ci fanno l’effetto guscio, i nostri feed sono pieni di soluzioni “salva spazio” dove tutto deve essere a portata di mano e trasformabile in altro. Chiusi in queste “tiny-house”, siamo ingobbiti su un divano o sul letto davanti a uno schermo in perenne attesa di un consenso che ci viene tributato da chi non ci conosce ma che consideriamo nostro amico solo perché fa parte di quella rete.
Animati e inorgogliti dalle vanity metrics che ci fanno perdere il senso di tutto: di noi stessi e del tempo che scorre e che dedichiamo a una ricompensa intangibile. Tempo che non ci verrà restituito e che letteralmente perdiamo. Qualcosa deve essere andato storto, dove abbiamo sbagliato, viene da chiederci?
Per fortuna qualche segnale positivo c’è e la stanchezza da sovra esposizione digitale sta inducendo le persone, specie i più giovani, a un approccio e utilizzo differenti. E’ di qualche settimana fa la notizia che a New York stanno nascendo locali dove si deposita il telefono all’ingresso per poi riprenderlo all’uscita e stare lì per leggere e parlare con gli altri. Insomma si sente la necessità di ri-educarsi alle relazioni reali anche perché la tecnologia va avanti, anzi non si è mai arrestata e le prossime sfide ci vedranno alle prese con l’applicazione dell’intelligenza artificiale.
Moroni a fine testo ci regala anche una serie di indicazioni su come la fine dei social potrebbe essere meno catastrofica e, chissà, forse non necessaria. Non penso che oggi se ne possa e voglia fare a meno, ma di certo è possibile ricominciare ad alzare gli occhi da uno schermo e vedere quale sia il vero colore del cielo. Senza filtri se non quelli dei nostri occhi e della nostra anima.
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