La previdenza complementare è l’unica soluzione alla crisi delle pensioni. Ma allora perché nessuno (o quasi) lo dice?

Flavia Provenzani

31 Maggio 2024 - 13:51

La pensione integrativa si rende ormai necessaria per garantirsi un futuro stabile. Ma allora perché in pochi la conoscono e quasi nessuno ne parla?

La previdenza complementare è l’unica soluzione alla crisi delle pensioni. Ma allora perché nessuno (o quasi) lo dice?

Negli ultimi 10 anni gli stipendi hanno perso potere d’acquisto, al contrario di quello che è successo nelle altre grandi economie europee. La contribuzione versata su retribuzioni basse è anch’essa bassa, incidendo sull’importo delle future pensioni.

In questo - preoccupante - contesto spicca la previdenza complementare che, però, complice un problema culturale e di scarsità delle risorse, stenta a decollare. A fine 2022, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,2 milioni, il 36,2% del totale della forza lavoro.

La previdenza complementare è sicuramente lo strumento più adatto ad integrare la pensione derivante da previdenza pubblica” secondo Elisa Lupo, consulente del lavoro e divulgatrice, con cui abbiamo approfondito l’opportunità, come anche la necessità, di dedicare parte delle proprie entrate ad un fondo pensione al fine di entrare, quando sarà, l’assegno pensionistico pubblico.

La pensione integrativa è la risposta alla crisi delle pensioni

I dati 2023 del Consiglio Nazionale Giovani stimano che la pensione pubblica sarà sempre più povera per chi oggi ha 20 anni ed entra nel mondo del lavoro”, sottolinea Lupo, che aggiunge come gli investimenti in fondi pensione siano “lo strumento più adatto sia per la sua sicurezza sia per le agevolazioni che vengono riconosciute a chi contribuisce ai fondi di previdenza complementare”.

Ma non è l’unica soluzione. Chi possiede le giuste competenze può “integrare la propria pensione facendo degli investimenti mobiliari e immobiliari in maniera autonoma”, spiega la consulente.

Eppure, la previdenza complementare stenta a decollare. I motivi, individuati nel Rapporto Edufin 2023 sono molteplici. “Primi fra tutti i limiti economici dovuti a retribuzioni che crescono lentamente e che spesso non consentono di destinare una parte al risparmio previdenziale” spiega Elisa Lupo. “Poi c’è la scarsa fiducia nello strumento dovuta a bassi livelli di educazione finanziaria”. Non è trascurabile, infine, “il bias comportamentale che ci porta a preferire il risparmio finanziario che determina una gratificazione nel breve periodo ad uno i cui benefici sono collocati molto lontano nel tempo, come avviene con il risparmio previdenziale”.

Manca un’educazione finanziaria di base

La mancanza di un’educazione finanziaria adeguata fa sì che non ci rendiamo conto che anche l’accantonamento mensile di piccole somme può comunque generare dei risultati positivi”, precisa la consulente del lavoro.
Trattandosi a tutti gli effetti di fondi di investimento, col tempo anche le piccole somme accantonate genereranno una rendita positiva. L’importante è giocare d’anticipo”.

A chi teme il fatto di non sapere dove vadano a finire i propri soldi l’esperta risponde che “esiste un ente di vigilanza sui fondi pensione (la Covip) che garantisce sulla loro solidità”.

Il TFR in un fondo pensione

Nei casi - sempre più diffusi - in cui non si è pronti a sottrarre una somma dal proprio netto mensile, il lavoratore dipendente potrebbe valutare delle alternative, come la destinazione del TFR nel fondo pensione.

Tale scelta “significa fare risparmio previdenziale senza che questo impatti sul flusso finanziario mensile”, sottolinea Elisa Lupo, che aggiunge:

“Si può scegliere liberamente di destinare il TFR ad un fondo di previdenza complementare, di solito il fondo di categoria, senza che questo comporti alcuna penale per il lavoratore. I liberi professionisti non hanno questa possibilità e per alimentare il fondo pensione devono destinare alla previdenza complementare delle somme dalle entrate correnti”.

Non mancano delle criticità da risolvere.

Bisognerebbe rendere più chiara la necessità di sottoscrivere un fondo pensione e bisognerebbe slegarlo dagli adempimenti aziendali”, racconta l’esperta. “Dal momento che il TFR da sempre è utilizzato dalle aziende come riserva finanziaria, si può creare un corto circuito tra gli interessi dell’azienda e quelli del lavoratore, che non permette a quest’ultimo di aderire serenamente”.

Infatti, “se il lavoratore aderisce ad un fondo pensione di categoria l’azienda non solo dovrà smobilitare mensilmente la quota di TFR che ha in azienda ma dovrà anche versare della contribuzione aggiuntiva altrimenti risparmiata”.

La soluzione di per sé è conveniente, per incentivarne l’adesione. Però, “sarebbe utile che di default si destinasse il TFR a fondo pensione”, conclude Lupo.

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