Oltre 3mila civili, tra cui bambini, hanno subito la perdita di un arto indispensabile. Isinnova con la sua «Letizia» vuole ridare la possibilità di camminare a più persone possibile.
Torna a far parlare di sé Cristian Fracassi, fondatore e ceo del centro di ricerca bresciano Isinnova, grazie a “Letizia” la protesi a basso costo che aiuta i mutilati di guerra. Nel corso della pandemia da Covid-19 lo avevamo conosciuto per via dell’invenzione della maschera per l’ossigeno C-PAP, realizzata partendo da una comune maschera per lo snorkeling.
“Mi hanno chiesto aiuto nello sviluppo di protesi tibiali e transfemorali a basso costo”, spiega Fracassi. Con il conflitto in Ucraina ci sono oltre 3mila civili, tra cui molti bambini, che hanno perso arti indispensabili. “Il problema è che le protesi solitamente hanno prezzi che vanno dai 5mila agli 80mila euro, cifre davvero insostenibili in questa particolare situazione”.
L’obiettivo che questa volta doveva essere centrato era “non superare un budget complessivo di 500 euro”.
Perché Letizia? La scelta del nome ha diverse ragioni, come spiega Fracassi: “È un parola dal significato benaugurante, quindi speriamo sia portatrice di felicità e buone notizie. Poi è un omaggio alla ragazza che ci ha aiutato nella messa a punto del prototipo e, infine, è un omaggio a mia madre che mi ha insegnato a camminare. Già il nome della valvola inventata per le maschere ad ossigeno rendeva omaggio a mia moglie, Charlotte”.
Come è nata “Letizia”, la protesi a basso costo
Il percorso che ha portato alla realizzazione di Letizia non è stato certo semplice e immediato: “Prima di iniziare, abbiamo contattato un team di ortopedici bresciani, che ci ha dato le necessarie nozioni di ortopedia, non essendo noi specialisti. Poi abbiamo pensato di realizzare la componente estetica attraverso la stampa 3D, da abbinare a tubolari d’alluminio per la parte rigida di ossatura. Il piede è fatto di poliuretano, materiale altamente resistente all’abrasione e al taglio, perché questo tipo di ausili di consumano molto velocemente. Infine, utilizziamo anche componenti già disponibili sul mercato, in modo da poterli acquistare a prezzi accessibili, per esempio le fasciature che vengono usate come tutori da chi si è sottoposto a un intervento al ginocchio”.
Una volta terminata la progettazione è iniziata la fase di test: “All’inizio è stato difficile individuare una persona che ci potesse aiutare, così ho deciso di sperimentare io stesso i prototipi, legandomi un piede dietro la coscia e provando a simulare nel modo più realistico possibile i movimenti di una persona che ha subito un’amputazione”. Le prime tre prove si rivelano fallimentari, poi un contributo decisivo arriva da Letizia, trentenne bresciana, che ha perso una gamba quando era bambina. “Ha provato la nostra protesi e ci ha dato qualche consiglio. Al quarto tentativo ho chiamato InterMed Onlus e ho annunciato: ce l’abbiamo fatta”.
Adesso la sfida è trovare i fondi necessari per sostenere l’iniziativa, che non ha scopo di lucro, ma ha l’obiettivo di far tornare a camminare chi non ha più la possibilità. “Oltre all’Ucraina, ci sono tante zone di conflitto nel mondo, in cui il nostro prototipo potrebbe essere utile”, ha spiegato Cristian Fracassi.
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