Dal suo ultimo libro Spatriati con cui ha vinto il Premio Strega passando per l’emigrazione dal nostro Paese sino alle prossime elezioni: quattro chiacchiere con lo scrittore Mario Desiati.
Tra migranti ed emigranti siamo ormai entrati nel vivo di questa campagna elettorale sotto l’ombrellone dove abbondano le promesse ma anche “le emergenze” costruite ad hoc per accaparrarsi qualche voto in più facendo leva su quei cavalli di battaglia che sembrano funzionare sempre come l’insicurezza o quella, abbastanza irrazionale e complottista, della “sostituzione etnica”. Stando ad una parte della destra italiana sarebbe in atto un’invasione che però viene ampiamente smentita dai dati citati da Mattia Feltri su La Stampa: gli stranieri che attualmente risiedono in Italia sono cinque milioni e 193mila, l’anno scorso erano cinque milioni e 171mila. In sostanza in un anno c’è stato un aumento di 22mila persone. Tra l’altro, se guardiamo più ad ampio raggio, possiamo vedere come quest’emergenza non è mai esistita visto che nel 2015 gli stranieri residenti nel Paese erano cinque milioni e 14mila.
Altri invece sono i campanelli d’allarme su cui magari si potrebbe intervenire come la fuga dei cervelli: secondo un’elaborazione dei dati Istat fatta dalla Fondazione Leone Moressa, nel 2020 ben 31mila laureati sono emigrati all’estero di cui in 23mila hanno tra i 25 e i 39 anni. Di loro però quasi nessuno si occupa “anche perché gran parte delle persone che sono andate via magari non voteranno”. Dall’altro lato, invece, giorno dopo giorno assistiamo ad un aumento degli episodi omofobi: basti pensare che dal 2012 all’ottobre 2020 ne sono avvenuti 876. L’ultimo è quello che ha riguardato una coppia gay che a Tirrenia è stata allontanata da uno stabilimento balneare per un bacio.
Su questi temi abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Mario Desiati, giornalista, poeta e scrittore che, dopo essersi avvicinato al premio Strega nel 2011 con Ternitti arrivato nella cerchia dei finalisti, quest’anno lo ha vinto con Spatriati, una storia dove tra amore e desiderio racconta una generazione costretta a “spatriare” per cercare fortuna fuori dalla propria regione, fuori dall’Italia.
Gli anni degli esordi letterari tra riviste letterarie e la maschera di Francesco Veleno
L’esordio letterario per Mario Desiati avviene con Neppure quando è notte, “un romanzo ambientato nell’anno del giubileo dove Roma era una città in espansione perché arrivavano milioni di pellegrini da tutto il mondo, mi ricordo che era tutto potenziato in quel periodo. Si vedeva una parte apparente della città dove era tutto in ordine che però si andava a scontrare con l’altra parte, la stessa dei protagonisti del libro, pienamente rappresentata dai barboni della stazione Tiburtina andando così a creare una situazione un po’ paradossale. Il primo romanzo nacque appunto da quel contrasto che si viveva a Roma e che si vive anche adesso dove periferie e centro, ricchezza e povertà a volte si incrociano e si riflettono”.
Se da un lato Roma è rimasta con tutte le sue contraddizioni sempre la stessa, a cambiare è stato il mondo della scrittura dove, come sottolinea Desiati:” Vent’anni fa un ruolo molto importante lo avevano le riviste letterarie. Sarò anche romantico ma per me sono il luogo perfetto per formare le persone nel campo letterario perché sono palestre di idee dove ti confronti subito con la pubblicazione e anche con un piccolissimo pubblico di lettori. Quello, secondo me, era il posto dove potevi sperimentare le tue aspirazioni, la tua visione del mondo oppure mischiarti anche con altre persone che la pensavano in maniera diversa da te. Io credo molto in quel mondo lì però mi rendo conto di essere anche un po’ obsoleto: quel tempo non c’è più”.
“Nelle riviste letterarie c’era anche una mescolanza di generazioni: i ventenni, che erano il perno di queste riviste, si confrontavano con l’autorità di un direttore che aveva una sua storia. Non voglio citare Nuovi Argomenti che era la mia rivista ma, per esempio, allo Straniero c’era la figura di Goffredo Fofi e poi tantissimi giovani come Alessandro Leogrande, Nicola Lagioia, Vittorio Giacopini, persone che sono cresciute anche nell’ambito editoriale. Oggi ci sono altri canali come quello delle scuole di scrittura: vent’anni fa erano pochissime, ora quello scambio generazionale si è trasferito qui”.
Inoltre, i lettori più attenti avranno sicuramente notato che il coprotagonista del suo romanzo vincitore del Premio Strega è un certo Francesco Veleno, nome non nuovo e che si ritrova anche ne “Il paese delle spose infelici” da cui è stato tratto un film e ne “Il libro dell’amore proibito”. Come spiega l’autore quella di “Francesco Veleno è un po’ una maschera che io uso come carattere che si reitera nei libri dove c’è un mio coetaneo che ha un determinato approccio con la vita, con il mondo ma anche uno sguardo a volte ingenuo e candido su alcuni aspetti dell’esistenza mentre altre volte si lascia guidare non temendo di scorgere i propri lati oscuri e quelli nelle persone che ama. Nell’ultimo libro Francesco è stato anche un po’ un escamotage: quando ho pensato Spatriati non vedevo Veleno, lui era uno dei tanti che ruotavano intorno a Claudia e poi, alla fine, è diventato coprotagonista”.
Tra spatriati e fuga dei cervelli
Il titolo del suo romanzo lascia trasparire già quello che è uno dei temi centrali di cui parla nel suo ultimo romanzo dove “nessuno va via per motivi di fame, per motivi economici: è più una ragione esistenziale, la stessa che spinge a ripartire da zero lontano da una certa visione del mondo dove i fallimenti ti bruciano per tutta la vita come nel caso di Claudia oppure una ricerca della propria identità lontano da dove si è nati perché non riesci ad affrancarti, non riesci ad accettare davvero le risposte che inizia a darti la domanda “chi sono?” come succede a Francesco. Quindi loro prima che expat sono degli spatriati, nel senso della parola martinese dove spatriato sta per irregolare, qualcuno che non appartiene davvero al luogo dove è nato, che non si riesce a definire politicamente, religiosamente, sessualmente e anche professionalmente”.
“Claudia, per esempio, nella sua fluidità professionale dopo un momento difficile riesce ad essere libera, sempre lontano dalle etichette ovvero il mezzo attraverso il quale la pressione sociale opprime i protagonisti del romanzo. Bisogna sottolineare come oggi ci sia una parte di italiani che emigra per ragioni professionali, una parte che emigra per ragioni di fame perché magari all’estero si trovano dei lavori meglio pagati ma poi c’è anche un’altra parte di italiani che emigra per ragioni esistenziali come Claudia e Francesco”.
In questo scenario, come sottolinea lo scrittore:” Quello della fuga dei cervelli è uno dei tanti temi secondari anche perché gran parte delle persone che sono andate via magari non voteranno. Secondo me è un tema importante perché sotto i cinquant’anni molti si chiedono se restare o meno nel proprio Paese. Trovo però un po’ pericolosa la visione dell’Italia che spende in competenze e poi quest’ultime sono portate fuori perché penso che una persona deve vivere dove si sente. Se non sta bene nel suo Paese non può avere questo peso, questo diktat morale che ha preso i soldi che il suo Paese ha destinato alla sua formazione ed è andato via. Ricordiamoci che l’Italia è ancora oggi un Paese che ha delle forme importanti di aiuto sociale anche se ogni volta vengono messe in discussione sempre di più”.
Tra diritti ed elezioni
In vista delle prossime elezioni, innanzitutto, per Mario Desiati un ruolo importante dovrebbero giocare i diritti:” Io credo che un paese che ha più diritti è un paese più libero, un paese dove si vive meglio. Non è un caso che nei paesi dove c’è meno omofobia si vive meglio: un paese dove si è più tranquilli in strada, dove puoi essere te stesso… In sintesi è un vantaggio per tutti però molto spesso per capirlo le persone devono passarci, vederlo: oggi purtroppo viene tutto troppo filtrato dalla polarizzazione, dove anche posizioni di buon senso vengono osteggiate per creare audience e visualizzazioni”.
Inoltre l’autore di Spatriati precisando di essere “uno scrittore e non un opinionista: mentre l’opinionista ha delle conoscenze tali per arrivare al dunque di un concetto, io posso scrivere dei racconti trasfigurando una realtà”, si sofferma sull’instabilità che quasi “fa parte dello spirito nazionale: l’Italia ciclicamente ha dei periodi nei quali ad un certo punto c’è un passaggio di consegne tra chi sta governando. In un’intervista su Repubblica ho detto che mi fido molto della Costituzione, nel senso che alla fine i padri costituenti, anche se sono passati quasi 80 anni, ci avevano visto lungo creando un sistema che ci possa difendere da varie derive autoritarie. Accanto c’è anche l’Europa che negli anni passati ha dato molto peso alla burocrazia, alle monete e meno alle lingue, alle identità, ai movimenti al suo interno però in qualche modo anche lì l’Italia non è un paese satellite e ha un suo ruolo. Insomma, io non sono catastrofista”.
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