I CeO delle 40 aziende leader scrivono a Bruxelles in vista del vertice sull’energia: con questi prezzi rischiamo la decimazione di progetti e output. E Alfa Acciai blocca la produzione in Sicilia
Jean-Paul Sartre diceva che ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche. Vista da questa prospettiva, la reazione pressoché nulla dei mercati all’aumento di 75 punti base dei tassi da parte della Bce ha un senso: la Bce non ha più voce da tempo. Può parlare o tacere, l’unica reazione è indifferenza. Non a caso, il peggioramento degli indici azionari è stato innescato dall’intervento di Jerome Powell. Come dire, Fed rules, Ovunque.
La Bce non conta perché il mercato prezza altro. Ovvero, quanto emergerà dal vertice Ue di domani sul caro-energia. E sono parecchi gli indizi in tal senso. Primo, il fatto che alla Borsa di Amsterdam le valutazioni del gas europeo abbiano casualmente trovato un implicito bottom in area 200 euro MWh. Ovvero, proprio il prezzo-obiettivo che la Commissione Europea ha reso noto come proposta che verrà avanzata agli Stati membri per giungere all’ormai mitologico tetto. Come dire, il ricatto è anche quello di una speculazione allo stato puro. E tutta fatta in casa. Ma con una variabile. Se dall’assise europea uscirà una parola sbagliata o di troppo, così come un silenzio mal interpretabile, allora tutto potrebbe precipitare.
E questo è il discrimine. Il mercato non solo prezzava i 75 punti base di aumento da almeno due settimane, bensì è assolutamente conscio di come sia il leverage energetico il vero e unico market-mover cui guardare. La storia del policy error in casa Bce, d’altronde, ci insegna che basta poco per tornare a tagliare i tassi. E magari a politiche espansive. Ma cosa differente è dare risposte a una spirale depressiva dell’economia reale. Soprattutto in paradossale regime di aumento del costo del denaro. Ed ecco che questa immagine,
la stessa scelta come copertina dell’articolo, mette in prospettiva il secondo indizio di pericoloso stand-by. Si tratta della lettera che i CeO delle 40 aziende produttrici di metalli non ferrosi più importanti d’Europa - riunite sotto la sigla Eurometaux - hanno scritto ai vertici Ue in vista del meeting di domani.
E a far paura è l’evoluzione della percezione di rischio. Non si tratta più solo di mettere in chiaro il potenziale distruttivo di una esondazione finanziaria della crisi energetica attraverso le margin calls cui incorrono le utilities strangolate dai prezzi dello spot market, qui si parla chiaramente di prospettiva di medio-lungo termine di permanente deindustrializzazione dell’Europa. L’appello è tanto chiaro quanto disperato: Chiediamo ai leader dell’Unione e degli Stati membri di intraprendere ogni opzione a disposizione per salvaguardare le nostre aziende e il nostro futuro, si legge nella nota.
E ancora: Siamo profondamente preoccupati che l’inverno ormai alle porte possa inferire un colpo fatale alla nostra operatività, quindi chiediamo a chi di dovere di operare con azioni di emergenza per preservare le industrie energivore strategiche e prevenire perdite permanenti di posti di lavoro... Già oggi il 50% della capacità europea relativa a zinco e alluminio è stata forzatamente posta off-line della crisi energetica.. Gli investimenti a lungo termine relativi a operatività strategica sui metalli in Europa vivono già oggi in un clima che vede produzione e progetti a rischio di decimazione.
Insomma, ecco su quale argomento i mercati attendono parole e silenzi dal vertice di domani. Non sui 75 punti base di aumento dei tassi di un’istituzione che contemporaneamente ha dovuto rivedere le stime dell’inflazione per l’anno in corso dal 6,8& all’8,1% e quelle per il 2023 dal 3,5% al 5,5%, di fatto decretando la propria totale assenza di credibilità. Tradotto, prezzi ben oltre il doppio della quota obiettivo almeno per altri 18 mesi. Ecco perché la lettera di Eurometaux si conclude così: La preoccupazione è per una situazione critica per il futuro prossimo, tale da configurare una tempesta perfetta di prezzi dell’elettricità alle stelle, nessuna liquidità nel mercato energetico per insicurezza nelle forniture, un continuo abbandono di nucleare e carbone e fonti alternative insufficienti a coprire le necessità.
E proprio oggi, quando la missiva dei CeO stava per raggiungere i tavoli europei, la Alfa Acciai ha comunicato lo stop alla produzione per due settimane nella sua acciaieria di Catania, dove produce tondini di acciaio per il cemento armato. La ragione? Costi insostenibili dell’energia e un conseguente calo di commesse. E proprio Acciaierie di Sicilia aveva già fermato le linee produttive a giugno e a luglio, salvo poi bloccare gli impianti per tutto il mese di agosto, lasciando a casa i circa 500 dipendenti, compresi quelli dell’indotto.
Attenzione ai silenzi e alle parole che arriveranno domani da Bruxelles. Perché se per caso il chicken game che l’Europa ha ingaggiato con la Russia a colpi di ricatti e rappresaglie dovesse rivelarsi totalmente sballato nelle tempistiche, il rischio non è quello di un tonfo della Borsa o un balzo degli spread. Ma il game over industriale. Dal quale non si esce nemmeno a colpi di ritorno al Qe.
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