La crisi energetica sta costringendo le nazioni a rivedere i piani di sostenibilità. Nella disperata ricerca di risorse, infatti, vincono - ancora - i combustibili fossili come carbone e petrolio.
La crisi energetica ha i suoi vincitori e perdenti: i combustibili fossili battono, ancora, le energie rinnovabili.
Questo sembrerebbe il verdetto attuale, con l’aumento dei prezzi del gas naturale ad alimentare, potenzialmente, un passaggio al petrolio.
Inoltre, il richiamo disperato della Cina alle miniere di carbone affinché producano il più possibile e in tempi brevi, ha di fatto frenato le ambizioni green del dragone.
L’improvvisa crisi energetica in Europa e nel mondo, quindi, sta avendo serie ripercussioni sulla transizione verso zero emissioni inquinanti.
Crisi energia: i vantaggi economici del petrolio sul gas
Il quadro riepilogativo della crisi energetica in corso parla chiaro: il gas naturale del Regno Unito tocca livelli record e i prezzi statunitensi sono raddoppiati quest’anno, raggiungendo i massimi dal 2008.
In Europa, il gas naturale corre a causa di un rallentamento delle forniture, di una maggiore domanda in estate e di una minore produzione di energia dalle turbine eoliche e dalle centrali idroelettriche, che ha aumentato la richiesta di gas naturale come alternativa.
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Rich Redash, responsabile della pianificazione globale del gas presso S&P Global Platts Analytics, non ha dubbi su quello che sta accadendo:
“Stai vedendo un incentivo economico... a passare dal gas naturale ai prodotti petroliferi come distillati e gas di petrolio liquido. Industrie ad alta intensità energetica, come i produttori di metalli primari, possono cercare di invertire la rotta tra carbone e gas, o gas e vari prodotti petroliferi”
Secondo gli analisti, i prezzi elevati hanno già danneggiato la quota di gas naturale nella produzione di energia e si prevede che il suo uso per generare elettricità si ridurrà dell’8,3% nel 2021.
In sostanza, Anas Alhajji, managing partner di Energy Outlook Advisors sottolinea che è più economico bruciare olio combustibile nelle centrali elettriche rispetto al gas naturale con questi prezzi.
La rivincita del carbone: la Cina si arrende e ordina più produzione
Sul fronte dei combustibili fossili inquinanti, il carbone sta tornando in primo piano.
La Cina ha ordinato alle sue miniere di carbone di aumentare la produzione nel tentativo di alleviare la crisi energetica, mentre il Paese lotta per bilanciare il suo fabbisogno di elettricità con gli sforzi per affrontare la crisi climatica.
Le autorità della Mongolia interna, la seconda provincia produttrice del combustibile in Cina, hanno chiesto a 72 miniere di aumentare la produzione di un totale di 98,4 milioni di tonnellate, secondo il Securities Times e il China Securities Journal di proprietà statale. L’ordinanza, che è stata approvata giovedì, è entrata in vigore immediatamente, hanno detto i media statali.
La notizia ha innescato un crollo dei prezzi del carbone. I futures del carbone termico sullo Zhengzhou Commodity Exchange sono diminuiti fino al 6,7%.
C’è stato il tonfo anche delle azioni delle principali società di estrazione e produttori di energia cinesi. Yanzhou Coal Mining è scesa dell’11% a Hong Kong e China Resources Power ha perso il 12%.
La sfida di Pechino di bilanciare la necessità di energia con la spinta del presidente Xi Jinping per una Cina a emissioni zero entro il 2060 rimane dunque piena di ostacoli.
All’inizio di quest’anno, il dragone ha chiuso centinaia di miniere di carbone – o ridotto la produzione in quelle funzionanti – in una forte spinta nazionale per ridurre le emissioni di carbonio. La promessa è stata anche di non investire più in miniere all’estero.
La crisi energetica sta riformulando le priorità della nazione, confermando la presenza ancora massiccia di combustibili inquinanti.
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