Mario Draghi è ancora ufficialmente sulla linea 5 Stelle dentro o dimissioni, ma cresce il pressing per un bis senza i contiani, con due ministri grillini che salterebbero.
Una trattativa segreta per il Draghi bis. A Palazzo Chigi ufficialmente tutto tace, con il presidente del Consiglio impegnato ad Algeri per stringere nuovi accordi sul gas e il suo entourage che non lascia filtrare nessun cambio di opinione rispetto alla linea delle ultime settimane: o i 5 Stelle rimangono al governo o le dimissioni vengono confermate.
Qualcosa, però, si muove sotto traccia tra Draghi e le segreterie di partito, mentre crescono gli appelli di sindaci, professionisti e cancellerie occidentali affinché l’esecutivo resti in carica sotto la guida dell’ex numero uno della Bce. Giuseppe Conte sa che la situazione è sempre più in bilico, sia per il Paese che per il Movimento 5 Stelle e, secondo alcuni retroscena, vorrebbe allungare la vita al governo confermando mercoledì la fiducia per poi passare all’appoggio esterno.
In questo modo si arriverebbe a un Draghi bis in maniera “controllata”, senza strappi turbolenti. Scenario in cui il leader grillino spera di evitare una nuova scissione, ma per cui ovviamente salterebbero i tre ministri pentastellati: Stefano Patuanelli, Federico D’Incà e Fabiana Dadone.
Chi sono i grillini che vogliono la nuova scissione
Proprio il ministro per i Rapporti con il Parlamento D’Incà guida la fronda dei governisti dentro i 5 Stelle, contrari rispetto alla linea dura di Conte e spaventati da una crisi al buio, che potrebbe consegnare il Paese al centrodestra dopo nuove elezioni. Con lui ci sarebbero almeno 13 parlamentari, che hanno contestato la linea del presidente grillino all’Assemblea dei deputati e senatori.
Si tratta di: Giulia Grillo, Elisabetta Maria Barbuto, Celeste D’Arrando, Federica Dieni, Niccolò Invidia, Luca Sut, Azzurra Cancelleri, Rosalba Cimino, Vita Martinciglio, Soave Alemanno, Diego De Lorenzis, Elisa Tripodi e Gabriele Lorenzoni. In caso di rottura, però, gli scissionisti sarebbero di più: almeno 15 secondo Il Fatto Quotidiano, addirittura 40 per Repubblica.
In tutto ciò, oltre al ministro, l’altro nome forte che è in bilico è l’attuale capogruppo grillino alla Camera Davide Crippa, che nelle ultime ore appare molto teso e rifiuta i confronti con giornalisti ed esponenti di governo: non ha digerito lo strappo di Conte e tra i due ci sarebbe stato uno scontro dai toni forti.
Il totoministri del Draghi bis
La via dell’appoggio esterno di tutto il M5s non convince Draghi. Secondo fonti di governo citate da Il Corriere della Sera, invece, il capo del governo non potrebbe ignorare uno scenario in cui, con un’ulteriore scissione grillina, i numeri della maggioranza tra Camera e Senato rimarrebbero praticamente uguali.
Insomma, senza i cosiddetti “contiani”, il presidente del Consiglio potrebbe andare avanti, assumendo ad interim le funzioni di Patuanelli e Dadone ad Agricoltura e Politiche giovanili, per poi riassegnarle a esponenti di altri partiti di maggioranza (probabilmente tra Pd e Lega).
Questo Draghi bis sarebbe molto simile all’attuale, forse con qualche altra modifica tra le fila di viceministri e sottosegretari: molto probabilmente salterebbe anche Alessandra Todde, seconda di Giancarlo Giorgetti al ministero dello Sviluppo economico, mentre i 5 sottosegretari (Carlo Sibilia agli Interni, Ilaria Fontana alla Transizione ecologica, Rossella Acoto al Lavoro, Barbara Floridia all’Istruzione e Giancarlo Cancelleri ai Trasporti) rimangono indecisi.
Resta da convincere Draghi
L’ulteriore separazione tra i pentastellati è quindi lo scenario che potrebbe portare più facilmente a un nuovo esecutivo Draghi, quasi fotocopia del precedente. I dimaiani di Insieme per il Futuro ci sperano, convinti di prendere la maggior parte dei nuovi scissionisti (tranne alcuni che potrebbero finire nel Pd) e occupare qualche altra casella dei sottosegretari.
L’importante, per il presidente del Consiglio, è che si eviti una dinamica di rivendicazioni, veti e ricatti, con i partiti che alzano la posta per stabilire in modo univoco l’agenda di governo. Una situazione in cui, secondo Draghi, si genera ingovernabilità.
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