Nuovo studio spiega come l’oro raggiunge la superficie terrestre

Maria Paola Pizzonia

29 Dicembre 2024 - 19:26

Un meccanismo rivoluzionario svela i processi nascosti dietro la formazione dei depositi auriferi. Scopriamolo insieme.

Nuovo studio spiega come l’oro raggiunge la superficie terrestre

L’oro, un metallo tanto prezioso quanto enigmatico, è più comune di quanto si possa immaginare nella massa complessiva della Terra. Tuttavia, forse non molti sanno che gran parte di esso rimane intrappolato nelle profondità del mantello terrestre, emergendo in superficie solo in specifiche condizioni geologiche. Un nuovo studio internazionale ha finalmente spiegato uno dei misteri più discussi della geologia: il processo che porta l’oro dal mantello alla crosta terrestre.

Un complesso d’oro e zolfo

La ricerca, pubblicata negli Atti della National Academy of Sciences, rivela che l’oro puro è generalmente inattivo nel mantello, ma può legarsi a specifiche molecole di zolfo, formando un complesso noto come oro-trizolfo. Questo complesso si genera a una profondità compresa tra i 50 e gli 80 chilometri sotto vulcani attivi, dove temperature e pressioni sono particolarmente favorevoli. La scoperta è da non sottovalutare, in quanto rappresenta il primo modello termodinamico robusto che dimostra l’importanza di questa combinazione molecolare nel trasporto dell’oro.
Secondo Adam Simon, professore di scienze della Terra presso l’Università del Michigan e coautore dello studio, questi risultati forniscono una comprensione solida di ciò che determina la formazione di depositi d’oro ricchi in alcune zone di subduzione. Quindi, ciò può avere un impatto diretto sull’esplorazione di nuovi giacimenti.

Il ruolo delle zone di subduzione

Le zone di subduzione, regioni della crosta terrestre dove una placca tettonica scivola sotto un’altra e si immerge nel mantello, giocano un ruolo cruciale nel processo. Mentre la placca in subduzione si fonde nel mantello, rilascia fluidi ricchi di zolfo, che favoriscono la formazione dei magmi auriferi. Questi magmi, una volta risaliti verso la superficie, subiscono ulteriori processi come il degassamento e la circolazione di fluidi idrotermali, che concentrano l’oro in vene e ammassi. Non è un caso che alcuni dei più grandi depositi d’oro del mondo si trovino lungo le cinture vulcaniche che circondano l’Oceano Pacifico, dalla Nuova Zelanda fino al Cile, attraversando paesi come Indonesia, Giappone, Alaska e Canada.

Esperimenti di laboratorio e applicazioni

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno simulato le condizioni del mantello terrestre in laboratorio, controllando pressione e temperatura per generare magma artificiale. I dati raccolti hanno permesso di costruire un modello applicabile al contesto reale. Questo tipo di approccio è particolarmente rilevante non solo perché migliora la comprensione dei processi geologici, ma anche poiché potrebbe guidare le strategie future di esplorazione mineraria.

L’identificazione dei meccanismi che portano alla formazione di depositi auriferi non è soltanto una conquista scientifica. Le informazioni raccolte potrebbero ottimizzare le ricerche di nuovi giacimenti, riducendo i costi e l’impatto ambientale delle attività di estrazione. In particolare, la comprensione del ruolo delle zone di subduzione apre nuove prospettive per l’esplorazione nei territori con attività vulcanica. Questo studio, in definitiva, segna un passo avanti nella geologia moderna che forse potrebbe rivoluzionare il settore minerario e l’industria dell’oro.

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