L’immunologo Giacomo Gorini spiega, in un’intervista a Money.it, perché la minore virulenza di Omicron non sia necessariamente una buona notizia, considerando la sua altissima trasmissibilità.
La variante Omicron è di certo più trasmissibile, come dimostrano anche i dati sui contagi in Italia. Ma, allo stesso tempo, sembra essere meno virulenta. Ovvero i contagi da Covid-19 sembrano portare a conseguenze meno gravi e, di conseguenza, meno ricoveri e decessi.
In attesa di dati definitivi sulla virulenza di Omicron, però, bisogna capire se questa nuova variante che renderebbe il virus più “buono” sia davvero una buona notizia. Per provare a capirlo Money.it ha intervistato Giacomo Gorini, immunologo che ha lavorato presso l’università di Oxford dove ha collaborato a sviluppare il vaccino distribuito da AstraZeneca.
Omicron meno virulento, ma non basta
Con Omicron spesso di parla di quanto il virus del Sars-CoV-2 sia diventato più “buono”, cioè meno virulento. “Con Omicron - spiega Gorini - possiamo dire che il virus è diventato meno virulento, quindi più buono, ma quella che è una buona notizia a livello personale, perché se uno si infetta ha minore probabilità di finire in ospedale o di stare molto male, dal punto di vista della popolazione non è detto che sia una buona notizia”.
Questo poiché bisogna valutare non solo il numero di persone che finisce in ospedale, ma anche quanto rapidamente questo avviene e quale sia, “con un virus più trasmissibile, la velocità con cui il numero di persone che finisce in ospedale è maggiore, in assenza di misure di controllo”.
Trasmissibilità e virulenza di Omicron
Con i dati finora disponibili (ancora parziali) su Omicron è difficile dire quanto debba essere meno virulento il virus per compensare l’elevatissima trasmissibilità di Omicron: “È una domanda da un milione di dollari, sicuramente ci sarà un aumento della pressione sugli ospedali e non sappiamo di quanto”.
Di certo c’è che “se tutti ci vaccinassimo con le terze dosi - e parlo di tutti i vaccinabili dai 5 anni in su - comunque il carico ospedaliero potrebbe essere controllato molto più facilmente”, spiega l’immunologo ricordando che lo zoccolo duro delle persone che non vogliono vaccinarsi “rappresenta un rischio per se stessi e per gli altri”.
Con Omicron virus può buono, perché può non bastare
Un virus più buono dal punto di vista della gravità della malattia che provoca non è necessariamente una buona notizia, almeno se analizzata non considerando altri parametri. Gorini parte però da un presupposto: “Teniamo presente che in linea di massima la virulenza non è un aspetto che al virus conviene, perché al virus interessa potersi replicare e generare una prole. Se il virus è asintomatico sempre o lievemente sintomatico allora le persone continuano a stare bene e lo trasmettono. Se crea grossi problemi le persone stanno attente e cercano di non trasmetterlo”.
Problema che con Sars-CoV-2 esiste solo in parte, considerando che spesso la trasmissione avviene prima della comparsa di sintomi. Per capire perché la virulenza di un virus non sia l’unico parametro da considerare Gorini ricorre all’esempio di Ebola: “Il virus di Ebola è un classico esempio di come il più cattivo a livello personale, più virulento, non riesca a pareggiare i grossi problemi che abbiamo visto con il Sars-Cov-2 che è estremamente trasmissibile”.
Il virus buono o cattivo non può essere l’unico parametro: “Ebola ci mette davanti alla limitatezza di questo unico parametro, essendo molto più cattivo ma non dando gli stessi problemi su grossa scala del Covid”, prosegue l’immunologo. Che fornisce un dato: “L’epidemia più grande di Ebola l’abbiamo vista nell’estate del 2014 e ha causato 30mila infezioni di cui ne sono morte ben un terzo, quindi 10mila. Non sono nemmeno lontanamente vicine ai 5 milioni di persone decedute di Covid, per via della sua alta trasmissibilità”.
La terza dose contro Omicron
Gorini sottolinea come si debba evitare di “lasciar scorrazzare” questo virus per scongiurare di vedere gli effetti della sua maggiore trasmissibilità sulla pressione ospedaliera. “Di certo dal punto di vista virologico-immunologico se potessimo somministrare le terze dosi a tutti sarebbe un enorme aiuto”, afferma l’immunologo. Che non esclude poi misure complementari, come potrebbe essere per esempio il ricorso allo smart working laddove possibile.
Omicron, servirà la quarta dose del vaccino?
Sull’ipotesi di dover somministrare anche la quarta dose del vaccino con la diffusione di Omicron Gorini spiega che ad oggi non c’è una risposta certa. “Dipende molto dalla situazione epidemiologica che avremo quando si presenterà l’occasione. Non è da escludere, ma per adesso è meglio pensare alle terze”, sottolinea.
Dipenderà da una serie di fattori: come finirà questa ondata, quale sarà la disponibilità di dosi, quanto la popolazione si immunizzerà a causa dell’infezione da Omicron. È giusto, spiega l’immunologo, prepararsi a livello organizzativo a un’eventuale quarta dose, ma è ancora presto per sapere se servirà realmente, tenendo inoltre presente che “dopo la terza dose c’è anche un buon livello di protezione da malattia lieve”.
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