Andare in pensione a 62 anni non conviene dal punto di vista economico. Netta la differenza sull’assegno futuro rispetto all’andare in pensione a 67 anni.
Si parla tanto della possibilità di andare in pensione a 62 anni anche dopo Quota 100: ma quanto conviene davvero? Se si guarda all’assegno di pensione molto poco visto quanto si va a perdere anticipando l’uscita dal lavoro.
D’altronde, il Governo si dice disposto a considerare l’accesso alla pensione a 62 anni (come in questo triennio è stato grazie a Quota 100) solamente prevedendo una penalizzazione in uscita, dunque un taglio del futuro assegno di pensione per chi decide in favore del collocamento in quiescenza anticipato. I sindacati sono di un altro parere: secondo le parti sociali, infatti, la penalizzazione è già insita nel regime contributivo, in quanto questo va a penalizzare coloro che vanno prima in pensione.
A tal proposito ci siamo chiesti: di quanto cambia l’assegno anticipando l’accesso alla pensione a 62 anni anziché attendere i 67 anni di età? Scopriamolo.
Pensione a 62 anni: quanto si perde di assegno
Andare prima in pensione oggi comporta una penalizzazione insita nel funzionamento del sistema di calcolo contributivo, introdotto dal 1° gennaio 1996, che si applica a partire da questa data per tutti contributi accreditati successivamente alla stessa, eccetto per coloro che entro il 31 dicembre 1995 hanno maturato 18 anni di contribuzione: per questi, infatti, il sistema contributivo si applica successivamente al 1° gennaio 2012.
La Legge Dini che ha introdotto questo sistema prevede appunto una penalizzazione per coloro che anticipano l’accesso alla pensione. Più che di una vera e propria “penalizzazione” si tratta di un sistema che va a premiare coloro che ritardano l’accesso alla pensione, svantaggiando appunto chi invece decide in favore dell’anticipo.
Nel dettaglio, viene previsto che il montante contributivo - ossia i contributi accumulati dal lavoratore e rivalutati annualmente con il tasso di ricapitalizzazione - venga trasformato in pensione applicandovi un particolare coefficiente, variabile a seconda dell’età a cui si accede alla pensione. Andare in pensione a 62 anni, dunque, comporta l’applicazione di un coefficiente di trasformazione più basso rispetto a quello previsto al compimento dei 67 anni e di conseguenza anche ad un assegno di pensione più basso.
Per non parlare poi del caso in cui il lavoratore avrebbe continuato a lavorare nel periodo che va dai 62 ai 67 anni: in tal caso, oltre a beneficiare di un coefficiente di trasformazione più alto avrebbe anche accresciuto il suo montante contributivo.
Esiste, quindi, una penalizzazione per chi va in pensione a 62 anni anziché a 67. Non un vero e proprio taglio - come quello che vorrebbe introdurre il Governo - bensì un calcolo con parametri meno favorevoli che di conseguenza va a comportare un assegno più basso.
Ma di quanto? Ovviamente la differenza d’importo dipende da tanti fattori, in particolare dagli anni di lavoro alle spalle e dalle retribuzioni percepite. Possiamo comunque vedere qualche esempio per capire effettivamente quanto si perde anticipando l’accesso alla pensione a 62 anni.
Quanto si perde andando in pensione a 62 anni: esempi pratici
Per quanto riguarda i seguenti esempi terremo conto della sola parte di contributi maturata con il sistema contributivo. Anche perché è proprio su questa che si applica la penalizzazione per chi anticipa l’accesso alla pensione.
Come primo esempio prendiamo un lavoratore dipendente che negli ultimi 20 anni ha guadagnato 3.000 euro lordi al mese. Questo, vista l’aliquota di computo prevista per i lavoratori dipendenti, pari al 33%, ha accumulato 12.870,00€ ogni anno nel montante contributivo.
Negli ultimi 20 anni, quindi, questo ha maturato - al netto della rivalutazione annua - una montante contributivo da 257.400,00€. Mettiamo il caso che questo riuscisse ad andare in pensione a 62 anni: tenendo conto del coefficiente di trasformazione del 4,770% - aggiornato al 2021 - questo avrebbe un assegno annuo del valore lordo di 12.277,98€.
Cosa sarebbe cambiato ritardando l’accesso alla pensione a 67 anni? Intanto un coefficiente di trasformazione più alto, pari a 5,575%. Quindi, a parità di montante contributivo avrebbe avuto una pensione annua e lorda di 14.350,05€, quindi di ben 2.000€ in più.
Se questo avesse continuato a lavorare, a parità di stipendio, avrebbe inoltre accresciuto il montante contributivo, arrivando a 321.750,00€. Di pensione, applicando il coefficiente di trasformazione, equivale a circa 17.937,00€, quindi oltre 5.000,00€ in più rispetto all’assegno maturato a 62 anni. Anticipando la pensione di cinque anni, quindi, si andrebbe a perdere circa 1.000,00€ per ogni anno.
Guardiamo, invece, ad un lavoratore con P.IVA iscritto alla Gestione Separata, per il quale l’aliquota di computo è pari al 25%. Questo, in media, negli ultimi vent’anni ha avuto un reddito annuo di 40.000,00€, accantonando così 10.000,00€ l’anno nel montante contributivo per un totale di 200.000,00€. Andando in pensione a 62 anni questo avrebbe diritto ad una pensione di 9.540,00€, mentre a 67 anni questa sarebbe stata pari a 11.150,00€ (poco meno di 2.000,00€ di differenza). Continuando a lavorare, arrivando così ad un montante contributivo di 250.000,00€, la pensione sarebbe stata pari a 13.937,50€.
Dal punto di vista economico, quindi, i sindacati hanno ragione: andare in pensione a 62 anni già non conviene, figuriamoci qualora il Governo dovesse prevedere un’ulteriore penalizzazione per rendere più sostenibile una tale misura di flessibilità.
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