Il petrolio resta intrappolato in un contesto globale incerto e ricco di insidie: 3 motivi preoccupano gli investitori e minacciano la stabilità del mercato del greggio.
Il petrolio vive una fase assai complessa, con i prezzi che continuano a oscillare pressati da almeno 3 fattori chiave.
Il contesto globale dominato da guerra, piani di decarbonizzazione, crescita economica incerta in potenze mondiali come Cina ed Eurozona, Opec costretta ai tagli alla produzione non aiuta il greggio a mantenere una direzione chiara, con quotazioni in rialzo e poi in calo in balia degli eventi.
Lo scenario per l’oro nero è oscurato da un mix di forze nelle quali è possibile individuare 3 motivi di allerta sui prezzi e altrettante aree geografiche da osservare attentamente per capire cosa spingerà al rialzo o al ribasso le quotazioni Brent e WTI.
1. Arabia Saudita e strategia Opec
L’ultima novità per il prezzo del petrolio è arrivata dall’Arabia Saudita, che di fatto tiene le redini del potente cartello Opec (e quindi è strategica nell’indirizzare il costo del greggio).
Saudi Aramco, controllata dallo Stato saudita, ha annunciato martedì la sospensione dei piani per aumentare la sua capacità di produzione di greggio da 12 milioni di barili al giorno a 13 milioni di barili al giorno.
In una dichiarazione, il più grande esportatore di petrolio al mondo ha affermato che il Ministero dell’Energia saudita gli ha ordinato di mantenere la sua capacità massima sostenibile (MSC) ai livelli attuali.
L’annuncio è arrivato in un contesto di crescenti preoccupazioni sulle prospettive della domanda di petrolio a livello mondiale, data la progressiva transizione globale verso la decarbonizzazione che getta un’ombra sui progetti di investimento a lungo termine nei combustibili fossili. E considerata anche l’incognita nel breve-medio periodo sulla crscita globale.
La mossa è giunta anche dopo che il più grande esportatore di petrolio del mondo aveva dichiarato a novembre che stava procedendo “molto bene” con un progetto multimiliardario per aumentare la capacità a 13 milioni di barili al giorno entro il 2027, mentre la domanda in Cina e India continua a crescere.
L’Arabia Saudita ha attualmente una capacità di 12 milioni di petrolio e ne produce circa 9 milioni al giorno, dopo aver ridotto la produzione come parte degli sforzi dell’Opec+ per rilanciare il mercato petrolifero globale e prevenire un surplus.
“È il segno più chiaro che il Regno sta moderando le sue aspettative di crescita della domanda globale di petrolio nei prossimi anni”, ha affermato Vandana Hari, fondatrice di Vanda Insights con sede a Singapore.
Il cambio di piano – ordinato dal governo saudita – eliminerà una parte significativa dell’offerta che i trader si aspettavano per la fine di questo decennio, un gap che potrebbe essere difficile da colmare da altri.
Da evidenziare anche che Riad sta bloccando ulteriori aumenti di capacità – e riducendo la sua capacità di conquistare ulteriori quote di mercato – in un momento in cui gli Stati Uniti offrono un volume di greggio senza precedenti, nonostante le politiche climatiche del presidente Joe Biden.
L’Arabia Saudita è a infine un bivio per la sua petro-economia. Il Regno vuole diversificare la propria produzione allontanandosi dalla dipendenza predominante dalle entrate dei combustibili nell’ambito del programma Vision 2030 lanciato dal principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman.
2. Guerra in Medio Oriente
L’escalation in Medio Oriente tiene con il fiato sospeso gli investitori nel petrolio. Tutto, infatti, può ancora accadere e i prezzi del greggio sono vulnerabili a ogni novità proveniente da questa tormentata area del mondo.
Washington ha promesso di intraprendere “tutte le azioni necessarie” per difendere le sue truppe dopo un attacco mortale di droni in Giordania da parte di militanti appoggiati dall’Iran. Si è trattato del primo militare americano morto dall’inizio della guerra tra Israele e Gaza e questo dettaglio ha sconvolto i mercati.
Se le tensioni tra Stati Uniti e Iran dovessero intensificarsi, in particolare attraverso un confronto diretto, aumenta il rischio che l’offerta di petrolio iraniana venga influenzata negativamente. Le esportazioni di petrolio iraniane sono probabilmente le più vulnerabili a causa di una potenziale maggiore applicazione delle sanzioni, ha fatto notare l’analista della Commonwealth Bank of Australia Vivek Dhar in una nota.
L’Iran ha esportato 1,2-1,6 milioni di barili al giorno di petrolio greggio per gran parte del 2023, ha aggiunto Dhar, che rappresentano l’1-1,5% della fornitura globale di petrolio.
“Se la situazione dovesse peggiorare fino a sfociare in una situazione di stallo tra Stati Uniti e Iran e in sanzioni più severe, allora il petrolio potrebbe sostenere per qualche tempo un range di 80-100 dollari al barile”, ha commentato Suvro Sarkar della DBS Bank.
3. Cina in crisi
A limitare i guadagni del petrolio in questo contesto ci sono le preoccupazioni circa le prospettive per l’economia cinese e qualsiasi potenziale ricaduta dall’ordine di liquidazione di Evergrande, secondo gli analisti.
“L’ordine di liquidazione potrebbe innescare conseguenze negative sui mercati azionari e immobiliari, che a loro volta potrebbero aggravare i rischi deflazionistici in Cina, smorzando le prospettive della domanda di petrolio”, ha affermato Kelvin Wong, analista di mercato senior dell’OANDA.
Gli stimoli per sostenere la crisi immobiliare e tutta la ripresa ancora poco convincente del dragone non sono stati finora sufficienti a risollevare il sentiment degli investitori. Una persistente debolezza cinese impatta sui prezzi del petrolio, lasciandoli scivolare su una prospettiva di domanda fragile.
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