L’OPEC ha annunciato il quarto downgrade consecutivo delle stime relative alla domanda di petrolio. Occhio al fattore Cina.
L’OPEC ha annunciato di aver tagliato di nuovo le previsioni sulla crescita della domanda globale di petrolio del 2024: si tratta del quarto downgrade consecutivo dell’outlook sulla domanda di crude oil annunciato dall’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio.
L’associazione con sede a Parigi non si è fermata qui, sforbiciando anche le stime sulla domanda relativa al 2025.
Il rapporto mensile dell’OPEC. Doppio downgrade sulla domanda di petrolio
La notizia è arrivata con la pubblicazione, avvenuta oggi martedì 12 novembre 2024, di un rapporto mensile firmato dall’organizzazione, in cui si legge che il nuovo outlook è di una crescita della domanda mondiale di petrolio di 1,82 milioni di barili al giorno nel 2024, in calo rispetto alla crescita di 1,93 milioni di barili al giorno, che era stata prevista appena il mese scorso.
Tagliate anche le previsioni relative alla domanda del 2025: ora l’OPEC punta a una crescita di 1,54 milioni di barili al giorno, inferiore rispetto all’incremento di 1,64 milioni di barili al giorno atteso appena un mese fa.
La ragione del downgrade, così come nelle precedenti previsioni, porta il nome della Cina, più esattamente della debolezza della sua economia, che continua a preoccupare la comunità degli analisti nonostante il piano di stimoli lanciato dal governo di Pechino.
L’impatto della Cina sulla domanda di petrolio è enorme visto che, oltre a essere la seconda economia del mondo, il Paese è anche l’importatore di petrolio numero uno del pianeta.
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Il trend dei prezzi del petrolio tra timori eccesso di offerta e Trump Trade
Per ora i prezzi del petrolio rimangono in solido rialzo, nonostante l’ennesimo downgrade: in particolare il contratto WTI scambiato a New York con scadenza a dicembre 2024 sale di oltre lo 0,80%, a quota $68,61 al barile, mentre il Brent sale di oltre lo 0,70%, oltre la soglia di $72 al barile.
Guardando tuttavia nel medio-lungo termine, in una condizione di eccesso di offerta, di indebolimento dei fondamentali dell’economia e di un bazooka cinese che viene considerato un’arma spuntata, l’outlook non è dei più solidi, tutt’altro.
Non convincono in primis le misure che il governo di Pechino continua ad annunciare per dare una spinta all’economia cinese.
Venerdì scorso, le autorità hanno presentato un piano volto ad alleviare la zavorra del debito che grava sulle spalle degli enti locali: il piano, che ha un valore di 10 trilioni di yuan, l’equivalente di 1,4 trilioni di dollari, è stato accolto con scetticismo dagli analisti, che hanno in messo in dubbio la capacità dei provvedimenti di stimolare la crescita, in un momento in cui sulla testa della Cina pende anche la spada di Damocle dei dazi che la prossima seconda presidenza di Donald Trump dopo la vittoria alle Elezioni USA è determinata a varare.
Kelvin Wong, analista senior di mercato di OANDA, ha sottolineato inoltre che, per quanto concerne l’offerta, gli operatori di mercato guarderanno alla “narrativa del Trump Trade, secondo la quale gli Stati Uniti diventeranno il principale fornitore di gas di scisto ”.
Tra l’altro proprio “il nome dell’attuale governatore del North Dakota Doug Burgum, favorevole alle trivellazioni per l’estrazione del petrolio (dunque al mantra Drill, baby, drill di Trump) compare nella lista dei candidati considerati papabili per la carica di segretario al dipartimento di Energia degli Stati Uniti, nell’amministrazione imminente di Trump”.
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