“Più soldi pubblici per la ricerca scientifica, puntare davvero su meritocrazia ed eccellenze”: l’Intervista a L’Abbate (Ic)

Stefano Rizzuti

15 Settembre 2022 - 15:14

Giuseppe L’Abbate, deputato di Impegno Civico, intervistato da Money.it propone di aumentare i fondi per la ricerca seguendo il Piano Amaldi e superando così l’1% di Pil per questi investimenti.

“Più soldi pubblici per la ricerca scientifica, puntare davvero su meritocrazia ed eccellenze”: l’Intervista a L’Abbate (Ic)

Investire sulla ricerca, rimettendo al centro la meritocrazia e le eccellenze. Questa è la proposta di Giuseppe L’Abbate, deputato e responsabile del manifesto politico di Impegno Civico. Il candidato alla Camera tra le liste di Ic spiega in un’intervista a Money.it come tra i punti del programma della sua lista ci sia anche il Piano Amaldi, ovvero l’intenzione di portare gli investimenti in ricerca all’1,1% del Pil.

L’Abbate sottolinea come si debba smettere di premiare “chi i soldi per la ricerca li spreca”, puntando davvero sulla meritocrazia. Bisogna poi incentivare anche gli investimenti privati, verificando quelli realmente validi attraverso un brevetto europeo. Infine il deputato di Ic propone anche la riforma dei percorsi scolastici.

Impegno Civico vuole mettere in campo il Piano Amaldi, ovvero alzare i finanziamenti per la ricerca fino all’1,1% del Pil: è un obiettivo davvero raggiungibile in 5 anni?

Iniziare a implementarlo è senz’altro un obiettivo raggiungibile! Vede, l’aspetto cruciale dell’appello di Amaldi non è quell’1,1% che è solo un numero di riferimento ma la necessità di aumentare il finanziamento pubblico alla ricerca scientifica e di farlo in modo meritocratico e selettivo, premiando le eccellenze. Non come ora che si finanzia un pochino tutti a pioggia, premiando anche chi i soldi per la ricerca li spreca.

Con la crisi energetica ed economica si può realmente investire sin da subito nella ricerca stanziando 10 miliardi da qui al 2027? E da dove prendere le risorse?

Tagliando altre spese. Noi abbiamo dato indicazioni chiarissime su questo: dalle pensioni, la cui crescita va fermata, ai sussidi alle imprese decotte (che vanno tagliati) all’attuazione per davvero dei piani di Cottarelli e Perotti sulla spesa pubblica inutile, alla fine dei mille bonus che, da Renzi in poi e con Conte soprattutto, sono diventati la greppia a cui ogni gruppo privilegiato mangia.

Negli ultimi anni gli investimenti statali in ricerca sono cresciuti, ma non abbastanza: siamo ancora lontani dagli obiettivi del Piano Amaldi. Perché i precedenti governi, di cui facevate parte, non hanno puntato di più sulla ricerca tanto da eliminare il Piano dal Pnrr dopo averlo inserito in una prima bozza?

Perché gli interessi dei partiti dominanti erano altrove e quei governi perseguivano altri obiettivi. Personalmente ho cercato di spingere nel settore agricolo ma non ho difficoltà ad ammettere che il partito in cui militavo aveva altri fini e obiettivi e che non l’ho abbandonato per caso. Sono andato altrove anche perché ho compreso che per perseguire i fini che a me sembravano e sembrano buoni per il Paese quella non era la compagnia giusta.

Oltre al pubblico, c’è il capitolo degli investimenti privati per la ricerca: come pensate di incentivarli?

Nella stessa maniera in cui pensiamo di attrarre investimenti esteri e di favorire la crescita delle aziende italiane più efficienti. Gli investimenti privati per la ricerca sono parte degli investimenti in tecnologie avanzate che fanno le aziende di frontiera. Occorre cambiare l’ambiente, dalla tassazione alla giustizia. Nello specifico e nel breve periodo, credo si possano disegnare schemi di incentivo fiscale per le spese in ricerca e sviluppo che siano verificate essere tali, condizionando l’incentivo, ad esempio, all’ottenimento di un brevetto europeo.

Lei parla anche di ridefinizione dei percorsi scolastici: cosa intende?

Tra le riforme vi è la ridefinizione dei percorsi scolastici, le indicazioni ministeriali che definiscono i contenuti dell’insegnamento e l’effettivo processo di apprendimento, per renderli all’altezza delle sfide dettate dallo sviluppo tecnologico e dalla ricerca di nuove competenze. L’evoluzione dei sistemi tecnologici e delle conoscenze scientifiche richiedono, infatti, che la scuola italiana sia in grado sia di preparare le giovani generazioni sia per vivere in questo mondo che cambia sia di guidarne, complessivamente, il cambiamento. La ricerca di nuovi profili professionali ci impone, dunque, l’attuazione di un processo di lungimirante riforma che rimetta in connessione il sistema dell’istruzione, della formazione e della ricerca con il progresso industriale e tecnologico.

Allo stesso tempo si concentra sui processi di formazione e valorizzazione degli insegnanti: bisogna seguire la strada tracciata con l’introduzione del bonus per quelli che erano stati definiti (cambiando poi nome) docenti esperti o bisogna pensare a un’altra soluzione?

Quella era chiaramente una misura tampone, disegnata per «soddisfare formalmente» la Commissione europea a fronte delle resistenze diffuse in Italia contro l’introduzione di sistemi meritocratici nel settore scolastico italiano. Quindi occorre vincere la battaglia interna anzitutto. Bisogna che ci sia consapevolezza diffusa sul fatto che lo stipendio dell’insegnante e le sue funzioni all’interno del sistema scolastico non dipendono solo da anzianità o al massimo concorsi, ma dai risultati del suo lavoro misurati con criteri oggettivi nel corso degli anni. Occorre che i test di tipo Invalsi, cumulati nel tempo, diventino strumenti di valutazione delle scuole e del corpo insegnante. Occorre che i dirigenti scolastici diventino responsabili per i risultati educativi della scuola che dirigono. Occorre sviluppare veri itinerari di carriera all’interno del sistema scolastico e questo richiede, anche e forse anzitutto, il ridisegno dei percorsi scolastici e della struttura degli istituti che ho descritto in risposta alla domanda precedente. Infine, vogliamo introdurre il middle management, un sistema che valorizzi quei docenti che vogliono contribuire al miglioramento della scuola gestendo attività complesse, per acquisire magari le competenze necessarie a diventare dirigenti scolastici.

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