Il prezzo del gas scende ancora e da inizio anno è già crollato di circa il 16%. Tuttavia, tanti fattori rischiano ancora di destabilizzare l’Europa e riportarla verso una crisi energetica. Perché?
Il prezzo del gas scende ancora in Europa, registrando un tonfo di circa il 16% nel benchmark olandese da inizio 2024.
La notizia è positiva per il vecchio continente così vulnerabile sul fronte energetico, ma le sfide non sono finite e i rischi che qualcosa vada storto non possono essere sottovalutati secondo gli analisti.
L’ottimismo, per ora, si basa sul fatto che nonostante l’ondata di freddo, quest’inverno la regione si trova in una posizione stabile grazie alle considerevoli riserve e al momento il caos del Mar Rosso non sembra incidere sull’approvvigionamento europeo e italiano. (Anche se occorre sottolineare che lo stop di alcune metaniere del Qatar la scorsa settimana ha allarmato il sistema di forniture europee).
Nella mattinata del 22 gennaio, il prezzo del gas rilevato nel benchmark olandese, riferimento europeo, viaggia sui 27 euro a megawattora. Il trend è al ribasso in questo inizio anno e in linea con quanto accaduto nel 2023, quando si è verificato un calo di quasi il 60% rispetto al picco del 2022. Le buone notizie per l’Europa, però, sono bilanciate da potenziali rischi geopolitici e non solo.
In Europa il prezzo del gas è in caduta libera
I futures del gas naturale europeo sono crollati a circa 27 euro per megawattora nella terza settimana di gennaio, toccando i minimi visti l’ultima volta all’inizio di agosto.
Al 17 gennaio, come rilevato da Trading Economics, i livelli di stoccaggio del gas nell’Unione Europea erano pari al 77,5%, con la Germania all’82,9%, l’Italia al 72,6% e la Francia al 68,7%. Allo stesso tempo, la domanda complessiva è debole e si manterrà al di sotto dei livelli di prima della guerra in Ucraina. Di conseguenza, si prevede che l’Europa entrerà in primavera con oltre la metà della sua capacità di stoccaggio sotterraneo di gas ancora disponibile, superando la media decennale di 35%.
Nonostante l’escalation del conflitto israelo-palestinese nell’ottobre dello scorso anno e le relative interruzioni dell’approvvigionamento internazionale attraverso il Mar Rosso, i prezzi dell gas in Europa continuano a scendere. Non solo le riserve record di gas, ma anche gli ampi investimenti nelle energie rinnovabili e la lenta crescita economica, che limita la domanda di energia nei grandi paesi industrializzati, stanno agendo come freni alle tariffe europee.
“Questo è il secondo inverno che l’Europa sta vivendo senza gas russo” ha sottolineato Kim Fustier, responsabile della ricerca europea su petrolio e gas di HSBC Holdings “Il fatto che ora esista un precedente – l’inverno 2022-2023 trascorso senza problemi – aiuta a calmare i nervi dei trader”.
La diffusione in Europa delle energie rinnovabili, inoltre, comporta una diminuzione della quota del gas nel mix energetico del continente. Un aumento delle turbine eoliche e degli impianti solari ha contribuito a ridurre la necessità di combustibile, insieme alla ripresa della produzione nucleare francese lo scorso anno.
Soffermandosi sul gas, è interessante notare da dove sta provenendo il combustibile in Europa nelle prime settimane del 2024. Un grafico aggiornato dal database Bruegel ci mostra le importazioni giornaliere effettive di gas in Ue nei 30 giorni dal 16 dicembre al 16 gennaio:
Norvegia e Gnl sono le principali fonti dalle quali ottenere combustibile. Le cosiddette vie russe del gas, invece, restano attive solo per quanto riguarda il Turkmenistan e l’Ucraina, come evince dal grafico Bruegel:
In questa cornice, è aumentata la fiducia tra gli esperti sul fatto che la regione europea si trovi su basi sufficientemente stabili per superare il resto dell’inverno con gas in abbondanza.
Perché l’Europa rischia ancora una crisi del gas?
Secondo alcuni analisti, il rischio che il calo dei prezzi del gas finisca e che i Paesi europei, così come il Giappone, gli Stati Uniti e la Cina, possano affrontare un’altra crisi è rilevante.
“Solo guardando i prezzi, sembra che la crisi sia finita”, ha detto Balint Koncz, responsabile del commercio del gas presso MET International in Svizzera su Blooomberg. “Tuttavia, ora dipendiamo da fattori globali, che possono cambiare rapidamente”.
Nonostante i grandi investimenti internazionali nella creazione di transiti di Gnl, la maggior parte della nuova capacità non sarà disponibile prima del 2025 e del 2026. E l’accordo sulla linea di transito che fornisce gas dalla Russia attraverso l’Ucraina ai Paesi dell’Europa centrale e occidentale scade alla fine di 2024, senza informazioni sulla sua proroga.
La chiusura della linea di transito ridurrà le forniture di gas. Inoltre, l’aumento degli eventi meteorologici estremi sta mettendo a dura prova i sistemi energetici e potrebbe aumentare la domanda di Gnl.
Inoltre, secondo quanto raccontato su Politico.eu, il ripensamento sulla strategia di esportazioni di gas naturale degli Stati Uniti da parte dell’amministrazione Biden, in chiave climatica, sta spaventando la fragile industria energetica europea.
La rivalutazione del modo in cui il Dipartimento dell’Energia approva i permessi di export di Gnl minaccia di bloccare i progetti da cui l’Europa dipende per soddisfare le proprie richieste energetiche. In sostanza, i sostenitori del presidente Joe Biden nel movimento ambientalista hanno accolto con entusiasmo la notizia che la Casa Bianca possa valutare con più attenzione il peso del gas naturale liquefatto esportato nelle emissioni inquinanti. E, magari, decidere di limitarle in nome degli obiettivi green (che tutti, anche l’Europa, hanno promesso di rispettare).
Per l’Ue sarebbe un colpo da ammortizzare.Nel 2023 ha triplicato le importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti, che hanno raggiunto i 60 miliardi di metri cubi.
Secondo la US Energy Information Administration, cinque progetti in costruzione raddoppieranno la quantità di gas naturale liquefatto proveniente dalla costa del Golfo degli Stati Uniti entro il 2026. Ma in seguito, qualsiasi rallentamento significativo da parte degli Stati Uniti potrebbe spingere le aziende europee a firmare contratti altrove, magari in Qatar.
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