Se il prezzo del petrolio è in calo in questi ultimi mesi dell’anno, il motivo non è solo della domanda debole. La sorpresa per i mercati petroliferi è arrivata dagli Usa.
Il prezzo del petrolio continua a oscillare e il calo sui minimi di cinque mesi registrato negli scambi del 7 dicembre è stato un colpo a sorpresa per i mercati.
La domanda che si pongono gli investitori, infatti, è se ora l’offerta di greggio sia eccessiva. Questa volta la risposta non dipende tanto dall’Opec, ma dagli Usa. E proprio questo fattore, il boom della produzione statunitense, ha gettato nel caos il settore petrolifero e stupito gli analisti.
Nel dettaglio, i futures sul Brent, il benchmark globale, scambiano sui 75 dollari al barile, dopo però essere diminuiti costantemente dai 90 dollari al barile di ottobre. Il West Texas Intermediate scambia sulla soglia dei 70 dollari al barile, con un tonfo del 24% rispetto ai 93 dollari di fine settembre.
I dati ufficiali statunitensi hanno mostrato un altro aumento delle scorte di greggio presso l’hub di Cushing, mentre la produzione di petrolio nazionale si è mantenuta vicino a un record e la domanda di benzina si è attenuata. Il fattore Usa non era stato considerato così rilevante finora, con i mercati piuttosto concentrati sulle dinamiche di offerta - molto confusionarie dopo l’ultimo incontro di dicembre - dell’Opec.
Il movimento al ribasso delle quotazioni di greggio è stato registrato, infatti, nonostante un accordo siglato la scorsa settimana dal potente cartello guidato dall’Arabia Saudita che prevede tagli alla produzione. Il timore che l’aumento della produzione esterna al gruppo superi la domanda si sta facendo strada, mentre si ipotizza che gli stessi membri dell’OPEC+ potrebbero non aderire pienamente ai vincoli produttivi che si sono imposti.
Sullo sfondo, inoltre, emerge una rivalità sempre più evidente tra sauditi e statunitensi, entrambi interessati a influenzare i prezzi del petrolio (ma in opposte direzioni).
Il calo del prezzo del petrolio e il ruolo degli Usa (sottovalutato)
Un grafico degli esperti di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) mostra in modo chiaro cosa sta succedendo negli ultimi mesi alla produzione di petrolio. L’offerta di greggio statunitense ha raggiunto un livello record a settembre, secondo di dati della Energy Information Administration, mentre l’Arabia Saudita resta determinata a guidare la politica dei tagli Opec:
“Una sfida all’ultimo barile”, come efficacemente sintetizzato dagli esperti Ispi, sembra quindi essere in corso. I numeri hanno rivelato che la produzione americana di petrolio greggio ha raggiunto un nuovo massimo storico di 13,2 milioni di barili al giorno a settembre. Questo aumento inaspettato di volumi di greggio dagli Usa ha sollevato diversi interrogativi.
Innanzitutto, l’incremento di forniture - e quindi dell’attività industriale petrolifera e dello shale oil molto praticato negli Stati Uniti - crea disagio all’amministrazione Biden. I funzionari statunitensi, infatti, si sono impegnati ufficialmente per eliminare in modo graduale l’uso dei combustibili fossili durante la Cop28 a Dubai.
Inoltre, rispetto a tre anni fa, quando la pandemia fece crollare i prezzi del petrolio e le società di trivellazione bloccarono gli impianti di perforazione e licenziarono i lavoratori, lo scenario è completamente cambiato. La stessa originaria ostilità di Biden nei confronti del settore si è affievolita.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, nel 2023 gli Stati Uniti hanno rappresentato l’80% dell’espansione della fornitura globale di petrolio, confermando un cambio di rotta per l’industria. In sostanza, i prezzi più alti innescati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno spinto di nuovo i produttori a trivellare.
Una maggiore produzione Usa, abbinata a una domanda globale incerta, potrebbe continuare a spingere i prezzi al ribasso. Un calo dei costi energetici, che farebbe raffreddare ancora di più l’inflazione, è auspicato da Biden. Ma non dall’Arabia Saudita, che ha invece avvertito su un potenziale prolungamento della politica dei tagli alla produzione fino a marzo proprio per favorire un aumento delle quotazioni.
L’offerta di petrolio nel mirino degli esperti: cosa aspettarsi?
Il dibattito su cosa accadrà nel prossimo futuro ai prezzi del petrolio è molto acceso.
La svendita del greggio in corso potrebbe aumentare le possibilità che l’OPEC+ convochi una riunione di emergenza nelle prossime settimane, secondo Citigroup.
La società energetica Kpler prevede che l’Arabia Saudita manterrà i suoi tagli di un milione di barili al giorno per tutta la durata del prossimo anno. Tuttavia, i trader dubitano dell’impegno degli Stati membri del cartello nei confronti delle diminuzioni volontarie, il che ha contribuito alla recente serie di diminuzioni dei prezzi.
“Mentre l’OPEC+ taglia la produzione, ci sono una varietà di Paesi che la stanno aumentando al di fuori del gruppo, e anche all’interno del’organizzazione”, secondo Matt Smith, analista petrolifero capo di Kpler per le Americhe. Tra questi spiccano gli Stati Uniti, il Canada, il Guyana, il Brasile. Anche Venezuela e Iran, membri OPEC, stanno incrementando la loro offerta di greggio.
Massima allerta, infine, sulla rivalità Usa-Arabia Saudita. L’esperto di energia Paul Sankey ha avvertito su un rischio sottovalutato. In un suo intervento su Market Insider ha ipotizzato che i sauditi, per ritorsione contro la produzione Usa, potrebbero inondare il mercato con forniture aggiuntive. In questo modo, i prezzi del greggio si abbasserebbero, con l’obiettivo “mandare in bancarotta” l’industria statunitense rendendo non redditizia l’estrazione del petrolio. È una tattica utilizzata da Riyadh nel 2014 e nel 2020 per riprendere il controllo sui prezzi del petrolio.
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