Le mance costituiscono compensi in denaro contante che non di rado ricevono coloro che, per lavoro, svolgono servizi ai clienti. Sono da ritenersi soggette alle norme fiscali oppure sono esenti?
Tutti sappiamo che le mance altro non sono che delle elargizioni di denaro, che rappresentano una sorta di ricompensa o premio per il servizio svolto dal lavoratore. I classici esempi sono quelli della somma data a mano al cameriere del ristorante o al facchino.
Il punto è che i servizi svolti da chi riceve la mancia sono ricompresi in un’attività di lavoro, perciò a ben vedere la domanda sorge spontanea: anche alle mance si applicano le tasse oppure queste somme debbono ritenersi al di fuori dell’applicazione delle norme fiscali del nostro paese? Insomma, queste somme vanno dichiarate nella denuncia dei redditi oppure no? Lo vedremo nel corso di questo articolo e, in particolare, evidenzieremo che vi è stata una diversità di vedute tra orientamento dell’Agenzia delle Entrate e quanto rilevato dalla Cassazione, chiamata ad esprimersi proprio sulla tassabilità della mancia. I dettagli.
Le mance ai lavoratori sono tassate?
- Le mance sono sottoposte a tassazione? L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 3 del 2008
- Per la Cassazione le mance sono tassabili perché sono parte del reddito da lavoro
- Rischi di evasione fiscale e mance: i poteri del Fisco
- Tra mance tassate e leggi ad hoc: il caso dei croupier
Le mance sono sottoposte a tassazione? L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 3 del 2008
Le mance storicamente hanno avuto, ed hanno tuttora, una buona diffusione. Non sono di certo pochi gli addetti ai servizi verso il pubblico e i clienti che, svolgendo la loro opera in modo diligente e cortese, ricevono una somma in contanti a titolo di mancia. Ma attenzione alle regole fiscali perché, per rispondere subito alla domanda di cui in apertura, le mance vanno tassate proprio come già vale per lo stipendio del lavoratore subordinato.
Come vedremo tra poco, a queste conclusioni sono giunti i giudici, ma è vero che una circolare dell’Agenzia delle Entrate (la n. 3 del 2008) aveva in realtà indicato altro. Questo ente aveva infatti affermato che non vi sarebbe alcun obbligo di tassare le mance, e dunque di indicarle nella dichiarazione dei redditi.
Infatti l’Amministrazione finanziaria nella circolare si era occupata del campo di applicazione dell’imposta sulle donazioni e aveva rimarcato che alle donazioni di modico valore non si applica alcuna tassazione. Tra esse, indicavano le Entrate, non vi sono soltanto i comuni regali ma tutti gli atti di generosità o liberalità che, per essere validi, non hanno bisogno dell’atto notarile. Ecco perché tra queste donazioni avevano trovato spazio le mance ai lavoratori.
Per la Cassazione le mance sono tassabili perché sono parte del reddito da lavoro
Su un altro piano l’orientamento della Cassazione che, in base alla sentenza n. 26510 del 30 settembre 2021, ha chiarito che le mance in denaro contante al lavoratore debbono essere sottoposte a tassazione Irpef. Proprio così e la motivazione è molto semplice e lineare: anch’esse debbono essere considerate una componente del reddito da lavoro subordinato. Tanto più se queste elargizioni permettono anch’esse di fare la spesa quotidiana e consentono dunque di comprare i cosiddetti beni di prima necessità.
In altre parole, le mance vanno dichiarate e dunque quanto viene incassato come compenso ulteriore deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi. Si tratta anch’esso di un obbligo di natura fiscale che ricade sul contribuente-lavoratore e questa conclusione della Cassazione infatti richiama l’art. 51 del Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR), avente ad oggetto appunto l’individuazione del reddito di lavoro subordinato.
Al primo comma dell’articolo si trova in particolare scritto che il reddito di lavoro dipendente è formato “da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
In buona sostanza, nel testo post riforma Irpef del 2004 troviamo una nozione onnicomprensiva di reddito da lavoro subordinato, non più circoscritta al mero salario incassato dal dipendente. Ecco perché le mance vanno tassate, analogamente a quanto accade per il lavoro straordinario o i buoni pasto.
Rischi di evasione fiscale e mance: i poteri del Fisco
In concreto, se è vero che però difficilmente qualcuno dichiarerà al Fisco pochi euro ricevuti come mancia, è però altrettanto vero che se le mance in un anno sono molto consistenti e arrivano ad avere quattro zeri (nei ristoranti di lusso ciò è ben possibile) è chiaro che a non dichiararle e a depositarle in banca in una volta sola - come se niente fosse - si rischia non poco. Infatti una movimentazione del genere è in grado certamente di insospettire il Fisco, che potrebbe far partire qualche controllo grazie all’alert delle banche dati.
Con i potenti mezzi tecnologici di cui dispone e le norme che la autorizzano, l’Agenzia delle Entrate avrebbe infatti tutto il diritto di chiedere spiegazioni della provenienza del denaro contante versato in banca. Il rischio concreto per il contribuente sarebbe quello di vedersi accusato di una qualche irregolarità o evasione fiscale nel caso in cui questi non abbia una valida prova scritta da opporre, recante la cosiddetta data certa e dunque attestata da un pubblico ufficiale, circa la provenienza della somma.
Insomma, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate dovesse fare verifiche sul conto corrente del lavoratore su cui sono confluite le mance, l’ente potrebbe presumere che si tratti di denaro in nero. E ciò laddove non ricorrano ’pezze giustificative’ in grado di dimostrare la provenienza del denaro e, dunque, la sua natura di reddito esente da tassazione.
Ma se non vi è traccia di soldi depositati perché il cameriere o il facchino sceglie di conservarli in casa o in qualche altro luogo sicuro diverso dalla banca, per il Fisco i controlli diventano più complicati. Insomma, se le mance sono riscosse sì in denaro contanti, ma non passano sui conti correnti, è ben difficile che qualche algoritmo dell’Amministrazione finanziaria possa scoprire una qualche irregolarità. La sola alternativa sarebbe quella dei controlli a campione sul campo, attraverso la Guardia di Finanza, che sarebbe incaricata non soltanto di controllare l’emissione dello scontrino ma anche l’eventuale ricezione della mancia.
Tra mance tassate e leggi ad hoc: il caso dei croupier
Anche il varo di una legge ad hoc, che faccia finalmente il punto e indichi in modo chiaro che le mance vanno dichiarate al Fisco - disponendo tutta una serie di doveri di comportamento da parte del lavoratore - potrebbe essere una soluzione idonea a spingere alla dichiarazione di questi soldi. Negli Usa funziona così: c’è una normativa specifica che impone a tutti i camerieri che ricevono mance, di conservare un rendiconto particolareggiato di questi versamenti, e di denunciare i proventi al Fisco americano. Chi non rispetta le regole corre seri rischi.
In verità in Italia il legislatore si è già occupato espressamente di mance e tassazione, ma con riferimento alla categoria degli impiegati tecnici delle case da gioco, i cosiddetti croupiers. Per essi infatti vale l’esenzione della tassazione sulle mance incassate, ma nei limiti comunque del 25% dell’importo percepito nel periodo d’imposta. Insomma le mance di questi lavoratori sono tassate per il
75% di quanto ricevuto. Vero è che, in circostanze come queste, la tracciabilità delle transazioni è comunque agevole, perché di solito le mance sono versate in fiche, e queste poi devono essere cambiate alla cassa del casinò.
A ben vedere, le norme sulle case da gioco comportano anche un problema di disparità di trattamento: infatti per i croupier la tassazione vale sul 75% delle mance, mentre per i camerieri, facchini e così via si applica al 100% degli introiti. In buona sostanza, non è inopportuno attendersi in futuro un intervento chiarificatore del legislatore.
Concludendo, su un punto però non sembrano ormai esservi dubbi: le mance vanno dichiarate da chi le riceve, riportandole sulla propria dichiarazione dei redditi affinché anche ad esse si applichino le regole fiscali e su di esse siano versate le relative imposte. La Cassazione è stata molto chiara in proposito.
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