L’offesa rivolta nei confronti delle Forze dell’Ordine tramite social network può comportare delle conseguenze molto gravi: dal reato di diffamazione aggravata, fino a quello di vilipendio.
Offendere le Forze dell’Ordine tramite Facebook è reato?
Navigando su Facebook è facile imbattersi in post offensivi nei confronti delle Forze dell’Ordine. D’altronde sono tantissimi gli haters - i cosiddetti “odiatori” - che approfittano dei propri canali social per andare contro lo Stato e le amministrazioni utilizzando termini offensivi e provocatori.
Questi pensano che il loro comportamento sia del tutto lecito, e si credono al riparo da eventuali conseguenze legali; ma si sbagliano.
Effettivamente la libertà di pensiero è tutelata dalla Costituzione, la legge fondamentale dello Stato italiano, la quale dell’articolo 21 dichiara che:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Anche se la libertà di parola e di pensiero è tutelata dalla Costituzione, ci sono dei limiti da rispettare. Ecco perché non si può scrivere su Facebook o Twitter qualsiasi cosa si voglia, visto che in alcuni casi si può essere colpevoli di reato.
Vediamo quali sono i reati di cui si può essere accusati e quali sono le sanzioni previste.
Reato di diffamazione aggravata
L’offesa su Facebook è stata oggetto di una recente sentenza della Corte di Cassazione - la n°50 del 2017 - la quale ha ribadito che pubblicare un post offensivo tramite un social network può portare all’accusa di diffamazione aggravata.
È l’articolo 595 del Codice Penale a riconoscere il reato di diffamazione, stabilendo che chiunque offenda l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino ad un anno, più una multa per un importo che può raggiungere i 1.032 euro.
Questo vale quando l’accusa è rivolta ad una persona specifica, ma anche alle autorità: il IV comma del sopracitato articolo, infatti, riconosce il reato di diffamazione anche quando l’offesa è indirizzata ad un “Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio”.
Anzi, in questo caso la pena viene aumentata fino a un terzo, visto che per la diffamazione viene riconosciuta l’aggravante (articolo 64 del Codice Penale).
Offendere le Forze dell’Ordine su Facebook - o su qualsiasi altro social network - quindi può avere delle conseguenze molto gravi. Ne sa qualcosa un giovane ventitreenne di Isernia che è stato rinviato a giudizio in seguito ad una querela presentata dal SAP (Sindacato Autonomo di Polizia) in merito ad un post offensivo rivolto alla Polizia di Stato.
Nel dettaglio, il giovane ha postato un’immagine di un’automobile della Polizia di Stato coinvolta in un incidente, commentando in modo offensivo: “Sinceramente sono molto contento, bastardi parassiti”. Adesso dovrà risponderne davanti al Tribunale di Isernia, che giudicherà se ci sono i presupposti per dichiararlo colpevole di reato di diffamazione.
Il reato di vilipendio
Ma il reato di diffamazione aggravata non è il solo: chi offende le Forze dell’Ordine pubblicamente, infatti, può essere accusato anche di “Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate”.
È l’articolo 290 del Codice Penale a prevederlo, stabilendo che “Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte Costituzionale o l’Ordine giudiziario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato o quelle della liberazione.”
L’offesa pubblica rivolta nei confronti delle Istituzioni, quindi, può essere punita fino a tre anni di reclusione. E ormai non ci sono più dubbi sul fatto che il social network sia considerato un mezzo pubblico, e non di uso privato come molti erroneamente credono.
Su questo tema è intervenuto il Tar di Trieste, nella sentenza con la quale è stata confermata la sanzione comminata ad un poliziotto colpevole di aver pubblicato su Facebook una foto del proprio accampamento, con tanto di commenti negativi nei confronti del corpo di appartenenza.
In quel caso il tribunale amministrativo ha ribadito che Facebook e gli altri social network non sono siti privati, nonostante i profili personali siano accessibili solamente dal titolare. Questo perché grazie ai servizi di Facebook i contenuti si diffondono “ad un numero imprecisato e non prevedibile di soggetti”.
Insomma, così come non si può usare Facebook per offendere gli altri utenti, non si possono offendere né le Forze Armate, neppure se intese come corpo dello Stato e non singolarmente.
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